Amore e melodramma a Versailles: Jeanne du Barry di Maïwenn

Versailles, a un passo dalla fine. Luigi XV ha l’aria annoiata e imbolsita sotto l’eye liner di Johnny Depp, imbalsamato nei rituali di corte e colpito dalla presenza spontanea, intraprendente e semplice di Jeanne Vaubernier, che non è una delle abituali cortigiane cui concede i suoi favori. Jeanne viene dal popolo e suo marito, il conte du Barry, le usa senza troppi scrupoli per fare soldi: non sa camminare all’indietro, come si usa fare in sua presenza a corte, e il re resta preso nel fascino della sua semplicità, innamorandosene perdutamente e facendo di lei la sua Favorita. A spregio delle usanze di corte, che non accettano una popolana a fianco del Re e la osteggiano come possono… In realtà Jeanne è solo la prima pietra della futura Rivoluzione che cadrà letteralmente sulla testa del Delfino, il futuro Luigi XVI, il presagio di un mutare dei tempi che Luigi XV ha forse intravisto in lei. È un po’ questa la chiave di Jeanne du Barry, il film di Maïwenn chiamato ad aprire Cannes 76: il dramma di corte abitato dal melodramma di una storia d’amore impossibile, osteggiata dai tempi e presaga del futuro che spazzerà via tutto.

 

 

L’approccio è lineare ma aderisce a una modernità che asciuga i vezzi del film in costume senza ignorarli, ma naturalizzandoli un po’. Cercando anzi uno scarto tra lo sfondo di corte, che recita la sua parte tra merletti e ritualità, e le figure in altorilievo di Luigi XV e Jeanne, che sembrano quasi azzerare il loro ruolo, astrarsi dal tempo reale per vivere solo quello del loro amore. Sarà per questo che funziona, sia pure in maniera un po’ distonica, la scelta di Johnny Depp, proprio nel suo essere al presente un’icona divistica imbalsamata nella grandezza della sua caduta e rinascita, proprio nel suo essere immobile e contenuto, forte e fragile allo stesso tempo. E sarà per questo che Maïwenn libera una strana energia nel suo personaggio, una naturalezza impostata che risponde alla obbligatoria duplicità del suo personaggio, che nega e allo stesso tempo afferma le sue origini, la sua natura, il valore del suo essere preda e artefice del proprio destino. E sarà per questo che il film stesso risulta possibile e non ottuso, capace di tenere in piedi una rappresentazione naturalistica che non annoia e non infastidisce.