Un romanzo epistolare è alla base di Amore e inganni, diretto da uno Whit Stillman più scrittore che regista e, per questo, come sempre abile manierista del racconto. Al principio, dunque, c’era l’opera giovanile e poco nota di Jane Austen Lady Susan, storia di una vedova spregiudicata, manipolatrice e alla ricerca di un nuovo marito ricco per non dover cambiare stile e tenore di vita. Siamo nell’Inghilterra di fine Settecento, e, per il carattere epistolare della fonte, questo film ci appare giustamente statico, come suddiviso in scene teatrali consecutive che rallentano il tempo della fruizione, ma accelerano quello dell’azione (e forse questo è il più evidente difetto). Perché Amore e inganni, dominato da figure femminili dei più diversi temperamenti, può essere descritto come una sorta di rincorsa contro il passare del tempo, astratto conto alla rovescia fatto di dialoghi continui e relativi spostamenti, tra tenute lussuose fuori Londra e case cittadine, pensate proprio come elementi di congiunzione di un piano superiore. Che poi è il gioco di Lady Susan, protagonista assoluta di ogni scena, anche quando non compare, tanto è intenta nella costruzione del suo futuro. Non ci sono scrupoli in lei, in quanto candidamente convinta della manipolazione come strategia di vita, ma anche intelligente e assai raffinata da far sembrare naturale il suo tramare. Come fosse un gioco al rialzo, in cui la stessa Susan punta ogni volta più in alto e si destreggia con le curve del destino per restare in piedi e sfruttare al meglio ogni imprevisto.
Un film che è un saggio di narrazione nella narrazione, perché Stillman trasforma la forma epistolare in un meccanismo di specchi che riflettono se stessi e, al tempo stesso, spingono più avanti l’azione. Non ci si deve far distrarre dalle profonde ellissi temporali e dai vuoti che si ripetono, perché tutto è studiato nei dettagli, con equilibrio e ritmo, e un senso dell’ironia tagliente. Si pensa a Oscar Wilde, ma soprattutto alle commedie di Shakespeare, scoppiettanti e apparentemente frivole, ingranaggi perfettamente funzionanti ma anche lievi e leggere. Il punto di forza di questo film sta proprio nei personaggi, ognuno all’apparenza l’esatto opposto dell’altro, senza, però, che vi sia alcuno scarto sul piano morale. A volerli guardare senza il velo della convenzione sociale, infatti, questi uomini e queste donne ci apparirebbero simili e ottusi, più o meno goffi e presuntuosi. La società che mette in scena Stillman (e prima di lui Jane Austen) è fatta di apparenze e stratagemmi ben nascosti sotto l’aspetto garbato e seducente dei suoi attori, attutito dall’eleganza di arredi e carte da parati. Così si resta programmaticamente sulla superficie, quella che interessa agli autori e che, a ben guardare, rappresenta la vera faccia di questa società, che si regge su equilibri instabili ma duraturi, fatti di cose dette a metà, ma senza sussurrare, anzi, declamando ogni frase ed esagerando ogni gesto. In questo senso Amori e inganni può dirsi riuscito. Basta non cercare significati nascosti o scheletri negli armadi.
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