Bellocchio e la necessità dell’imperfezione

Sangue-del-mio-sangue-5Continuare a filmare, a raccontare, a dipingere gli elementi, e le (magnifiche) ossessioni, di sempre, ma con un tocco diverso, uno sguardo mutato nel senso di esporre la propria poetica alla necessità dell’imperfezione, liberando ancor più le immagini dalle convenzioni narrative, creando un flusso amoroso fra testi di una filmografia lunga oltre cinquant’anni. Marco Bellocchio questa trasformazione, comunque nel segno di una profonda continuità, la rivendica e la esplora in film, Sangue del mio sangue ma non solo, posseduti da una anarchia espansa, da gesti che invitano a saltare nel vuoto, ora nel senso di avviarsi verso un altrove dove respirare libertà, e che abitano tanto le situazioni vissute dai personaggi, da alcuni in particolare, quanto le inquadrature, mai chiuse, sempre aperte all’incontro e al dialogo con quelle provenienti da tanti altri lavori (si legga l’intervista di Grazia Paganelli al regista, https://duels.it/persone/bellocchio-prima-ti-vengono-in-mente-le-immagini-poi-si-cerca-una-traccia/).

Sangue-del-mio-sangue_Bobbio

 

In tal senso, le immagini di Sangue del mio sangue, proprio come i legami familiari di diversi personaggi, sono sorelle, gemelle (oppure fratelli, gemelli), evocano con naturalezza parentele filmiche intime. A Bobbio, paese-laboratorio che ha contaminato il cinema di Bellocchio dandogli un sublime soffio di leggerezza, per Sangue del mio sangue il regista ha radunato familiari e interpreti, ma, fatto ancora più significativo, i fantasmi dei film da lui realizzati, i personaggi, le attrici, gli attori presenti in essi. Il titolo è emblematico, con esso Bellocchio si rivolge a chi è entrato, da un certo momento, nel suo cinema (a partire dal figlio Pier Giorgio e dalla figlia Elena, filmata da quando era appena nata) e, al tempo stesso, alle immagini e ai film che egli ha creato, egualmente “sangue del suo sangue”. Basta un varco in un giardino, in un muro, per compiere sbalzi temporali, per passare dal Seicento dei corpi femminili torturati dalla Chiesa in nome della religione ai giorni nostri dove nello stesso posto (che fu convento, che fu carcere) e in altri del paese soggiornano altre figure repressive e vampiresche raffiguranti il Potere. Bellocchio filma e dipinge il buio e la luce, e dal nero più denso, quello accumulatosi nel corso di un tempo senza tempo all’interno di una prigione-tomba dove fu murata viva una donna, fa sorgere la luce più accecante, quella che avanza insieme al corpo della stessa giovane, nuda, che la contiene e la diffonde, che uccide (per metafora e in un gioco di specchi tanto il cardinale quanto, nell’oggi, il vampiro assetato di potere) e che s’incammina, calpestando le macerie, determinata nella propria missione. C’è, in quell’apparizione, il respiro del passo da compiere per esporsi a un nuovo inizio. C’è la sintesi dei corpi di donna disseminati nella filmografia di Bellocchio e il senso di un cinema desideroso di esplorare, di essere tenace e dolce, sfrontato nel mettere in scena melodramma e grottesco, visioni horrorsangue-del-mio-sangue-ecco-il-trailer-del-nuovo-film-di-marco-bellocchio-v5-233369-1280x720 e conoscenze carnali, volti e corpi maschili e femminili che si riflettono in altri volti e corpi, vivi morti fantasmi, esistenti o immaginati, che si aggirano per le immagini, conoscendo come unico tempo del loro esistere quello senza età del cinema.