Colori accesi, una fisicità spiccata e barocca, che tradisce fin da subito un progetto horror (e di cinema) splendidamente anacronistico. Guillermo Del Toro in Crimson Peak si ispira con evidente ricchezza alla letteratura gotica e a quei film che da sempre sono sinonimo di accese passioni e perturbanti accadimenti. Cinefilo colto e ambizioso, Del Toro riesce in un progetto che accarezzava da molto tempo, in cui mescola con sapienza suggestioni mélo filtrate da luci sontuose e inquietanti, movimenti lenti e misteriosi dentro spazi che diventano immediatamente corpi, capaci di vivere e respirare, e che trasudano e nascondono al loro interno segreti. Storia d’amori e di morti, quella di Crimson Peak, a cominciare dalla fervente passione di Edith Cushing per la letteratura. Aspira a fare la scrittrice e preferisce leggere piuttosto che partecipare ai balli della nuova aristocrazia capitalistica americana di cui fa parte (essendo la felice e moderna figlia di un ricco imprenditore). La prima parte del film è ambientata nella Buffalo di inizio Novecento, e non manca qui lo sguardo “politico” del regista messicano, che descrive questa società con una certa asprezza di toni, evidenti nella galleria di personaggi ritratti tra feste e incontri di lavoro. Società in fibrillazione, sempre in movimento, abilmente filmata “sulle scale”, come a voler suggerire l’attitudine di uomini e donne che, come formiche, salgono e scendono, misurando i successi e spingendo le ambizioni di ricchezza. Il Nuovo Mondo si è lasciato da un pezzo l’Europa alle spalle eppure ora cerca di organizzare la società secondo antichi schemi e nuove gerarchie. In tutto questo c’è la giovane Edith, figura contraddittoria e indefinibile perché, pur nella sua provocatoria ribellione agli schemi, è fatalmente legata al vecchio continente, dentro e fuori le mille metafore e i riferimenti di cui è intriso il film. E non solo perché si ispira a Mary Shelley, ma perché fa Cushing di cognome (e non si può non pensare all’attore della Hammer William Cushing da cui, ci piace pensare abbia ereditato lo spirito indagatore, l’intraprendenza e l’indole di cacciatrice di vampiri). E così, nonostante l’avvertimento dei fantasmi, si lascia travolgere dal nobile inglese che mira alla sua eredità e la porta a Crimson Peak.
E la casa è una vera e propria visione. Ci si arriva superando il cancello che porta scritto il nome della tenuta Allerdale Hall. Isolata e fatiscente, ricca di un fascino malsano, con scale a vista, che conducono in luoghi dove è proibito recarsi, e un enorme buco nel tetto da dove cade la neve. Ma questa villa vittoriana poggia le sue fondamenta su un terreno di argilla rosso sangue, che poi è la chiave di tutto, perché il sangue è davvero il tema dominante, l’ossessione horror di chi vive in questo luogo e ad esso si lega indissolubilmente, ben oltre la morte. Una casa antica divenuta “creatura viva, che trattiene le cose” buone e cattive, e le restituisce in forma di morte, dove i fantasmi non vanno presi alla leggera e neppure le farfalle e le falene che tappezzano certi muri. I vivi e i morti, appunto, di cormaniana memoria. Chissà se Del Toro ha pensato a Il Gigante nel mettere in scena questo antico melodramma, scandito da terribili passioni in forma triangolare, con una sorella portatrice di odio e di follia. Fatto sta che anche qui c’è qualcosa da estrarre dal sottosuolo, destinato a macchiare, con il suo colore (rosso, anziché il nero del petrolio), il candore di Edith e della neve che cade initerrottamente.