È un cinema di ipotesi, quello di Ryusuke Hamaguchi, percorso da figure che slittano sul destino reciproco, sulla contiguità del sentire e sulla sostituzione dei sentimenti. È raro assistere, come in questo caso, alla nascita di un autore in una maniera tanto precisa e coerente da apparire quasi subitanea: a parte l’esordio del 2008 (Passion, suo film di laurea alla Tokyo University of Arts), è nell’arco di sei anni e quattro film che Hamaguchi ha definito una poetica lucida e determinata, che lo ha imposto nei grandi festival internazionali: dalle oltre cinque ore di Happy Hours (Locarno 2015) sino al più recente dei suoi film, il magnifico Drive My Car (Cannes 2021), che arriverà in Italia a fine settembre, passando per Asako I & II (Cannes 2018) e questo Il gioco del destino e della fantasia, che era a Berlino 2021 dove ha vinto l’Orso d’Argento. Un corpus di opere che ruota attorno alla ricerca di uno spazio concretamente morale per gli intrecci sentimentali dei suoi protagonisti, ai quali chiede di essere delle figure in transito sul loro posto nel mondo, disponibili a spiazzamenti imprevisti non solo delle loro esistenze, ma anche delle loro identità. Un po’ come il ragazzo di Osaka di cui è innamorata Asako nel dittico del 2018 a lei intitolato, che scompare per riapparire anni dopo a Tokyo con un altro nome e un’altra identità… È una disposizione fantastica dell’esistere, quella proposta da Hamaguchi, che però non ha nulla di magico e si limita a spingere la realtà a fare un giro su quella ruota del destino e della fantasia cui è intitolato questo suo penultimo film, che invece è un trittico pensato come una variazione sul tema delle coincidenze sentimentali, della fatalità dell’amore, del dispiegarsi occasionale delle emozioni.
C’è Meiko, per esempio, la giovane modella del primo episodio, che, ascoltando dalla sua migliore amica il racconto di un incontro casuale dal quale è scaturita forse la magia dell’amore, si rende conto che quell’uomo fantastico è il suo ex fidanzato, e la cosa innesca un gioco quasi ophulsiano in cui l’ipotesi e la finzione, tanto quanto la realtà, si intersecano senza remore. Oppure c’è Sagawa, sobrio professore universitario e premiato scrittore dalla penna licenziosa, che finisce nella trappola della amante di uno studente che vuole vendicarsi della sua severità. O ancora c’è la semplice Natsuko, che torna sui passi della sua giovinezza e ritrova, ormai adulta, la ragazza di cui si era innamorata ai tempi della scuola, senza tener presente che il tempo non cambia solo le persone dentro ma confonde anche il loro aspetto esteriore… Ecco, Il gioco del destino e della fortuna è un film che si basa, esattamente come tutto il cinema di Hamaguchi, su questo susseguirsi di figure che, col semplice atto di incontrarsi, aprono i sipari di una drammaturgia composta sull’occasionalità delle situazioni, sull’imprevedibilità delle reazioni, sul ripensamento delle decisioni già prese, sulla confusione interiore che si traduce in sovrapposizione di ruoli, attese, soluzioni, conseguenze…
La dinamica potrebbe apparire meramente drammaturgica, ovvero costruita su una scrittura che definisce il concatenarsi degli eventi sulla base di uno schema dinamico preciso e funzionale. Ma al di là di questa qualità della scrittura, pur essenziale nel definire un autore come Hamaguchi, il film (come tutto il cinema del regista giapponese) si articola in una dimensione morale che si offre ai personaggi come spazio ipotetico del loro agire: è nella libera determinazione delle figure in campo che il film trova la sua dimensione reale, nell’arco delle scelte che vengono prese dai protagonisti, ponendosi a volte con la condizione di accadimenti concreti, a volte con la dimensione delle ipotesi meramente narrative (che poi il regista si perita di contraddire nel loro opposto con un semplice stacco di montaggio), altre volte ancora con la libertà quasi astratta del sentimento che decide di seguire l’onda dell’emozione. Di episodio in episodio, la progressione delle soluzioni conduce il film verso questa libertà fantastica, garantita alla vita dalla lezione della drammaturgia dei sentimenti. Tenendo fede in questo all’impianto di un film che nel suo stile celebra implicitamente la leggerezza di due autori come Woody Allen e soprattutto Hong Sang-Soo, alla cui lezione Ryusuke Hanaguchi, in questo caso, sembra guardare con simpatia.