Guldkysten – Gold Coast, dichiara il suo sceneggiatore e regista, il danese Daniel Dencik, è una storia romantica. Una finestra aperta su un periodo storico, l’Ottocento, il secolo delle grandi narrazioni, cui guardare con nostalgia e allo stesso tempo con ammirazione, come a un possibile modello alternativo al presente desolato. Portatore del punto di vista dell’autore si fa il giovane ufficiale e botanico Frederik, inviato nel 1836 dal re di Danimarca in Costa d’Oro per avviarvi una piantagione di caffè: un’anima pura destinata a scontrarsi ben presto con la crudeltà dei compatrioti residenti da tempo nella colonia, che in spregio alla legge fanno commercio clandestino di nativi. Frederik inizia così un viaggio verso il cuore di tenebra del colonialismo occidentale (Conrad non può che mescolarsi a Coppola), aggrappandosi con tutto se stesso alla sua fede nella natura, alla ragione scientifica e all’amore per la fidanzata Eleonora, cui scrive lettere appassionate (lettere reali che Dencik ha trovato nella biblioteca reale danese, traendone spunto per l’ideazione dell’intero film). Oltre che lo sguardo, il film ci restituisce anche la voce del protagonista intento a raccontare ciò che vede e sente, innescando una duplicità percettiva dove la contemplazione estatica si mescola incessantemente all’osservazione riflessiva, un po’ come accade nel cinema di Malick. Così il racconto uditivo, completato di musiche originali tesissime, insegue o è inseguito da quello visivo, alla ricerca di quelle epifanie che Joyce ci ha insegnato a leggere come momenti in cui le cose dischiudono la loro verità. Fino all’ultima epifania, che sigilla irrevocabilmente bellezza e orrore.