Alla sua modella che gli chiede perché nei dipinti ci sono solo donne, il pittore risponde che la ragione sta nel fatto che i pittori sono uomini. Lei è Marthe de Méligny, modella prediletta del pittore Pierre Bonnard, che visse tra fine ‘800 e prima metà del ‘900, che fece parte del gruppo dei Nabis, frequentò pittori come Monet, Degas e Renoir, studiò le opere di Van Gogh e di Toulouse-Lautrec avendo in mente un’idea di pittura nuova, fondata sull’uso insolito del colore, investendolo da una luminosità quasi onirica. Nel film Ritratto di un amore Martin Provost ne dà un’immagine composita di un uomo ossessionato dalla pittura e dalla sua musa, ma anche capace di analizzare il tempo storico in cui vive, sfruttare le conoscenze importanti della società, parigina, vibrante e frenetica, assolvere ai compiti richiesti a un artista nei confronti dei suoi mecenati. Tutto inizia mentre il pittore è intento a ritrarre la sua nuova modella, conosciuta per strada e finita nella sua soffitta a seno nudo e con un grande cappello di velluto, a farsi ritrarre un po’ per soldi e un po’ per curiosità. La passione tra i due è immediata e potente e la storia che li unirà sarà un vortice senza fiato. Nonostante la donna soffra di attacchi d’asma, non farà che correre per tenere insieme i pezzi di una vita disordinata, con i suoi segreti da nascondere a tutti. Perché sebbene dichiari di avere 16 anni, di vivere da sola e di discendere da una famiglia italiana di antico lignaggio, in realtà di anni ne ha 24, il suo vero cognome è Boursin e condivide una soffitta con la madre gravemente malata e povera.
Le sue fughe sono solo parte di una quasi irragionevole vitalità, una brama di vivere che la porterà a sostenere l’opera del suo uomo, ma anche a combattere contro il costume e le abitudini sociali, a difendere il suo microcosmo con una furia apparentemente sopra le righe. Gelosa, possessiva, volitiva, la Marthe di Martin Provost è, in realtà, la vera protagonista di questo film, calibrato sugli umori di una donna in continua trasformazione, capace di interrogare ogni istante, ogni gesto, ogni dettaglio compaia davanti ai suoi occhi. Sarà naturale, allora, la sua necessità di vivere nella campagna incontaminata, dove poter esprimere liberamente tutta quella vivacità interiore, quell’irrequietezza che doveva soffocare negli ambienti cittadini. Il suo respiro è il ritmo che Provost decide di assecondare, accettandone l’irregolarità, come fosse un’improvvisazione continua. Siamo lontani dal film biografico, dall’aneddotica semplicistica. Lo sguardo è tutto rivolto al momento creativo, all’analisi dei gesti, dei sentimenti e delle emozioni che sorreggono la nascita di un dipinto. “Non è questione di dipingere la vita, ma di dare vita alla pittura” diceva il pittore Bonnard a proposito della sua poetica. Allo stesso modo, questo film non si sofferma sugli avvenimenti della vita di due persone, ma cerca di arrivare al cuore della loro energia, tra alti e bassi, apparenti incoerenze, slanci vitali e dissonanti umori, nonostante la Prima guerra mondiale ingrigisca il quotidiano e nuovi volti entrino nei dipinti di un pittore che ha ritratto per tuytta la vita la sua storia d’amore.