I predatori di Pietro Castellitto – Una storia “borghese”

Presentato in concorso alla 77ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia nella sezione Orizzonti, I predatori ha ottenuto il Premio Orizzonti per la miglior sceneggiatura e una buona accoglienza critica, in virtù di un tono spiazzante e di un meccanismo di accumulazione che tiene con il fiato sospeso. Tuttavia, si ha l’impressione scomoda di sorvolare la superficie, con l’ambizione comune di pungere e stigmatizzare difetti e storture della nostra società. Il film d’esordio di Pietro Castellitto regista, che il giovane ventinovenne ha scritto, diretto e interpretato, pur non lasciando impassibile lo spettatore, si limita a enunciare soltanto quelle storture, metterle in scena in una virtuosistica esibizione di rabbie e rancori elencati, urlati, agiti e mai affrontati a viso aperto. Si inizia al mattino presto, quando il mare a Ostia è tranquillo. Un uomo mette a segno una delle tante truffe ai danni degli anziani soli. Si scopriranno solo più tardi le ampie conseguenze che questo evento avrà provocato, come una pietra in uno stagno. Perché, attorno alla vecchia signora c’è un’intera famiglia, quella dei Vismara, proletari e apertamente fascisti, con tanti debiti da pagare e una passione per le armi. Sempre di mattina presto un giovane assistente di filosofia scopre che non prenderà parte alla riesumazione del corpo di Nietzsche programmata dal suo professore. Intorno a lui, la famiglia Pavone, padre chirurgo di successo e madre regista cinematografica, entrambi assenti dalle loro stesse vite, quasi alla ricerca inconsapevole di una via di fuga. Due torti diversi, affrontati dai personaggi in modo diverso, eppure destinati a convergere, complicando e sovrapponendo cause ed effetti. Castellitto costruisce il suo progetto a partire da opposti incompatibili e presupposti sociali che conosciamo.

 

 

L’incomunicabilità, l’alienazione giovanile rispetto all’indifferenza degli adulti, le disuguaglianze sociali e culturali, l’ipocrisia della borghesia intellettuale, gli egoismi individuali e di classe. Basta una scintilla per far esplodere una materia tanto incandescente, ci dice il giovane Castellitto, e, fin qui nulla di nuovo. Anzi, lo abbiamo visto e letto innumerevoli volte. Quello che colpisce però, è la messa in scena fatta di scelte formali addomesticate, apparentemente pervase di “eccessi” (di primi piani vertiginosi, inquadrature spiazzanti, equilibrismi e disequilibri facili, piani sequenza), in realtà partecipi di uno spirito poco dissacrante, volto, al contrario, a suscitare semplice meraviglia. L’impressione è di un incontrollato caos (ideologico prima ancora che estetico), nonostante si persegua la simmetria, perché ogni aspetto di questo film ci appare semplicemente esposto, non assimilato, né ragionato o studiato nel dettaglio. Il grottesco e la commedia caustica, dopotutto, sono registri da maneggiare con cura e coraggio. Se ne può fare materia rivoluzionaria, a patto che non si voglia essere al tempo stesso borghesi e anti-borghesi, dinamitardi e conformisti.  Si può interrompere una noiosissima cena in famiglia con il rap senza inibizioni della sorella del protagonista (momento più che mai apprezzabile e finalmente spudorato), ma poi la ribellione va saputa portare alle estreme conseguenze, senza la “protezione” già insita nella bomba di Federico (con cui fa saltare la tomba di Nietzsche). Per tutte queste ragioni I predatori è semplice esercizio di ribellione e non gesto sovversivo, un’occasione mancata, ma non del tutto sprecata grazie alla sparatoria finale in cui i figli uccidono davvero i cattivi “padri-padroni” e un guizzo di autentica libertà si impadronisce dello schermo.