Nel neomedioevo di un futuro lontanissimo, mille anni dopo una terribile catastrofe nucleare che ha decimato gli esseri umani e alterato pesantemente tutti gli ecosistemi tanto da trasformare la Terra in una sterminata foresta definita Giungla Tossica, i pochissimi superstiti vivono nei regni nemici di Pejite e Tolmechia, tra piante che sporano veleno nell’atmosfera ed enormi insetti mutanti. Nell’enclave della Valle del vento, dove l’atmosfera è meno colpita dagli agenti patogeni, la principessa Nausicaä, figlia di re Jihl, non si rassegna all’idea di poter vivere in un mondo migliore e “bonificato”. E diventa l’ago della bilancia tra le due fazioni, avverando un’antica leggenda secondo cui un condottiero dagli abiti azzurri riporterà la Terra e i suoi abitanti alla purezza primigenia.
Nausicaä della Valle del vento (Kaze no tani no Naushika, 1984) è un film produttivamente, storiograficamente e perfino distributivamente “anomalo” nella carriera del maestro Hayao Miyazaki. Innanzitutto: sebbene non si tratti della sua prima regia di lungometraggio (primato che spetta a Lupin III e il castello di Cagliostro, 1979) è considerato il “vero” esordio e il contenitore in nuce di tanti temi poi (meglio) sviluppati nelle opere successive. Inoltre: malgrado la fondazione dello Studio Ghibli risalga ufficialmente al 1985 e il film fosse il risultato dello sforzo congiunto di una casa di produzione (la TopCraft di Toru Hara, transfuga Toei), di un editore crossmediale (Tokuma Shoten), di una potentissima agenzia pubblicitaria (la Hakuhodo) e di un’azienda di giocattoli (la Nibariki), è comunque ormai legittimato a tutti gli effetti nella filmografia ufficiale dello studio. E infine: dopo il grande successo in patria, fu acquistato e distribuito negli Stati Uniti nel 1985 dalla New World Pictures (con il titolo Warriors of the Wind) in una versione scorciata malamente di quasi mezz’ora (con l’espunzione quasi totale di tutti i risvolti adulti, ecologici e politici), stravolta nei dialoghi e nei nomi dei personaggi (la protagonista fu ribattezzata Zandra) per adattarne i contenuti a uso di un pubblico di bambini. Operazione che mandò su tutte le furie Miyazaki e che fu all’origine della rigidissima politica di controllo e salvaguardia estetica delle sue opere successive vendute all’estero. Una presa di posizione di cui in parte ha risentito in negativo anche l’Italia (dove i film firmati Miyazaki sono giunti con un ritardo ridicolo e opere capitali del sodale Isao Takahata -come Omohide poro poro, 1991- sono addirittura ancora inedite); anche perché il nostro paese aveva cominciato ben prima a essere malvisto dai licenziatari nipponici per le assurde libertà di adattamento subite dalle loro serie anime televisive più prestigiose (basti ricordare le lunghissime battaglie legali di cui sono stati oggetto Gundam e Candy Candy). E infatti, tanto per non trasgredire la regola, Nausicaä è stato da noi dapprima spezzato in quattro episodi dalla Rai nel 1987, quindi distribuito in homevideo dalla Disney (in modo molto lacunoso: il dvd resta uno dei pezzi più rari e ambiti del collezionismo cinematografico animato nostrano) nella stessa discutibilissima edizione. Un’ordalia finita parzialmente nel 2010, quando fu possibile vederlo nella sua interezza grazie all’edizione ritradotta da Gualtiero Cannarsi e correttamente sottotitolata al Festival di Roma, e completamente emendata oggi con l’encomiabile ridoppiaggio realizzato da Lucky Red che lo ha presentato nelle sale in limited release dal 5 al 7 ottobre scorsi.
Anche la sua realizzazione seguì un percorso non tradizionale: è infatti stato tratto da un manga di enorme successo dello stesso Miyazaki (che all’epoca aveva prodotto solo quindici episodi disegnati e non era quindi neanche a metà della sua corsa editoriale, iniziata nel 1982) che chiese e ottenne di mettere in standby la pubblicazione durante la stesura-lampo della sceneggiatura della versione cinematografica. Nonostante la difficoltà di adattare e concludere una storia assai più complessa di quella narrata dal film, la poetica del maestro era però già ben definita. Nell’universo distopico di Nausicaä della Valle del vento sono infatti già presenti temi etici, estetici e filosofici che si rincorreranno per tutti i trent’anni (e i nove film) successivi: il contrasto tra natura e cultura, umanità e civiltà, ecologismo e barbarie, esistenza e leggenda, crudeltà e compassione o tra la poetica fragilità del sogno e la difficoltosa prosaicità del reale; il rapporto non sempre mediato dalle leggi della fisica tra causa ed effetto; l’attrazione per il volo come esperienza e per la meccanica sovente arcana dei veicoli che lo rendono possibile (la principessa entra in scena su una sorta di aliante che è un dichiarato omaggio all’Arzach di Moebius, esibizione di formazione culturale geograficamente assai più ampia di quella della maggior parte dei suoi colleghi); la predestinazione; l’inganno dell’apparenza e la positività della diversità (le creature mostruose destinate a rivelarsi inoffensive); l’agnizione di un deus ex machina dalle sfumature messianiche ma mai davvero in una prospettiva fideista; la necessità di confrontarsi con la risolutezza della psicologia femminile; la disciplina del coraggio, l’insondabilità della paura. E, buon ultimo, il sodalizio con l’immenso musicista Joe Hisaishi di cui questo film sancisce l’inizio (con una colonna sonora tra le più importanti ed empatiche del loro intero iter artistico, in cui convivono la Sarabande di Haendel, i raga orientali e l’elettronica minimale). Come dicevamo, tutte queste caratteristiche sono presenti in nuce in quella che resta una dichiarazione d’intenti già perfettamente delineata, ma ancora non perfettamente rodata sul piano della pura narrazione. Se la parabola è subito chiarissima e scevra da manicheismi o pontificazioni, la straordinaria ricchezza e fluidità di animazioni e sfondi è spesso appesantita da una gestione del ritmo interno ancora tipica della narrazione animata giapponese e non ancora in grado di “respirare” a livello universale come accadrà già immediatamente dopo con Laputa – Il castello nel cielo. E il Miyazaki delle scansioni ferree di Porco Rosso, Princess Mononoke, La città incantata e della perfezione drammatica da Ozu in sedicesimo di Si alza il vento verrà fatalmente dopo, durante la progressiva autoirreggimentazione di questa straordinaria molteplicità di intuizioni e convinzioni messa in atto con inaudita consapevolezza di mezzi e profondità di riflessione.