Diciamo che la cosa in qualche modo più appassionante, di certo la più interessante, di The Flash è leggerne l’iter produttivo, le infinite evoluzioni e circonvoluzioni che il progetto ha prodotto, nutrito e anche subito nel corso degli anni, a partire dal quel 2008 in cui era annunciata la prima uscita del film. Le tante mani che ci hanno lavorato, i tanti registi che sono stati più o meno in parola o quanto meno in predicato di dirigerlo (Rick Famuyiwa, Robert Zemeckis, Matthew Vaughn, dopo i rifiuti di Sam Raimi, Marc Webb, Ben Affleck e Jordan Peele…), gli stop and go, i cambi di orientamento, i ripensamenti… Una specie di multiverso produttivo in cui gli AD Warner alle prese con il DC Extented Universe hanno fatto il loro sporco lavoro, che con tutto ha a che fare fuorché col cinema: “franchise” oblige… Sicché pare evidente che la categorica noia che svapora da questo The Flash di Andy Muschietti al culmine dei suoi 144 minuti è il prodotto netto di tutto questo lavorio produttivo, questo maneggiare idee, nomi, script e topics, casting e miscasting, directors and producers… Una teoria di possibili film che il sistema hollywoodiano del XXI Secolo nutre, consuma ed espelle senza capire bene cosa fa, tanto alla fin fine il meccanismo macina acqua che poi va ad irrorare lo streaming e il suo indifferenziato universo di spettatori/consumatori dal click facile. Chi se ne cala dunque se The Flash, povero film nato male e cresciuto anche peggio, sul far della sua terza settimana di vita ha già perso il 69,8% di ingressi sul mercato domestico (il 61% su quello italiano), secondo quanto ci racconta Box Office Mojo.
Ma poiché la fosca nube di vetustà da “critico sclerotico fuori tempo massimo” già si addensa sull’immaginario avatar che il lettore sta disegnando attorno al nome di chi scrive, proviamo a guardare The Flash di Andy Muschietti da una prospettiva differente, non fosse che per affetto del bellissimo gruppo di ragazzini e ragazzine che tre poltrone più in là della mia si sbracciano divertiti a ogni salto di metaverso e a ogni incursione di una versione alternativa degli eroi. E allora chissà che Barry Allen/Flash, nella figurazione da nerd dissociato offerta dal volto spigoloso di Ezra Miller, non sia tutto sommato il testimonial di una implicita e inammissibile rivolta del cinema alle possibilità negate dalla timeline insicura ma inalterabile del fare film hollywoodiani nel XXI Secolo. Il dramma antico e inaccettabile della morte (l’amata madre pugnalata, l’amato padre accusato ingiustamente) diventa lo spettro da fugare nella corsa indietro o avanti nel tempo dell’eroe velocista. Il tabù da infrangere l’immutabilità della linea degli eventi che i moralisti chiamano destino e gli sceneggiatori di ieri chiamavano continuity. L’invenzione del multiverso (Marvel, DC o altro che sia) è la scintilla prometeica che si rivolta al fato e apre all’eroe infinite vie di fuga.
Tante quante ne apre agli sceneggiatori e ai produttori: rivoli di storie parallele, tutte possibili e impossibili, mutazioni genetiche di un narrare che non conosce più eventi unitari e di aristotelico non ha nemmeno la memoria.
Bruce Wayne/Batman, come sempre normativo, lo mette in guardia sul pericolo che si corre ad alterare la timeline degli eventi, ma il prometeico Barry Allen non resiste alla tentazione di fare un giro indietro nel tempo per evitare la morte della madre e la gogna del padre. Peccato che in quella specie di vulcanico Zootropio che è il vortice di multiversi, in cui Flash si ferma in sospensione per scegliere dove andare, si muova anche un Dark Flash che lo spintona in un 2013 alternativo, dove Barry trova non solo mamma ancora viva e papà ancora in forma, ma anche il se stesso ancora adolescente e stupidamente nerd al quale far avere i suoi superpoteri per evitare di sparire per sempre e far collassare la timeline universale…Ovviamente la sensazione di aver già visto questa storia non è un déjà vu e il nome di Robert Zemeckis che è aleggiato attorno a The Flash non è un caso, ma questo facciamo conto di poterlo mettere da parte. Perché poi il film si gioca ben altre carte, che sono quelle dell’accesso a un pantheon di eroi DC spinto nello star system hollywoodiano con tutto l’ardimento contrattuale dei vari reboot inanellati dalla Warner. Peccato che lo script faccia lo slalom tra fughe prospettiche poco sviluppate, che il fragore rimbombi sulla vacuità della scena e che le disfunzioni eroiche affianchino senza troppo estro le funzioni sceniche di protagonisti e antagonisti… La stanchezza si impossessa infine dello sforzo speculativo richiesto al critico, il quale, piuttosto annoiato, lascia il campo allo sbracciarsi dei ragazzini che, sempre tre poltrone più in là, sembrano divertirsi un (bel) po’, anche se si perdono la post-credit scene, che quanto a coolness ci sa fare…
P.S.: Ora che ricordo, i ragazzini di cui sopra non li avevo accanto a The Flash, ma mentre vedevo quel capolavoro che è Spider-Man: Across the Spider-Verse. Certo che si divertivano tanto…