L’amore e il desiderio, sentimenti e pulsioni come oggetti brucianti di una giovane coscienza in disputa con la propria identità. C’è un ragazzo parigino, il suo nome è Ahmed, un giovane corpo maschile aggrappato alla periferia del suo essere, banlieue dell’anima che non riesce a trovare il coraggio di toccare il centro della propria identità. Figlio d’un padre intellettuale, scappato da Algeri per salvarsi la vita, che ha ritenuto inutile insegnare a lui e alla sorella l’algerino: quando si affaccia all’università, la Sorbonne, Ahmed è come fosse un’ombra in fuga dal proprio corpo, testa bassa, sguardo di traverso, cerca di sfiorare la realtà per non farsi conoscere in quel mondo al quale sente di non appartenere. Lo sguardo dritto, sereno, incosciente è invece quello di Farah: questa ragazza tunisina, appena arrivata a Parigi eppure già a suo agio nello spazio di quella città che non conosce, punta subito Ahmed, quasi lo bracca nella sua ombrosa timidezza. Frequentano entrambi un corso di letteratura araba erotica e il desiderio che implode nei loro corpi dialoga ben presto con l’amore che li sfiora dai punti opposti della loro condizione e dilaga nelle loro vite, nella ricerca reciproca di una strada per tenersi insieme. Questa è infatti Una storia d’amore e di desiderio, la narrazione di una rivoluzione combattuta lungo la diagonale identitaria che unisce due corpi e due sentimenti, tra le strade di una periferia in cui si nasconde un ragazzo algerino nato in Francia e i viali del centro in cui quello stesso ragazzo si espone timoroso della sua nudità.
Leyla Bouzid fa un magnifico film sentimentale che è un film politico, non a caso scaturito dall’incontro tra la passione e le idee, tra la vita e le parole, tra le giornate e i libri. In Ahmed troviamo la tabula rasa identitaria di una generazione nata e cresciuta scollata dalla cultura alla quale appartiene ma che non conosce, dunque non riconosce nella sua verità, preferendo affidarsi allo schematismo ostativo del dogma ideologico, fideistico… L’erotismo della letteratura classica araba mette a disagio il ragazzo parigino cresciuto con l’idea di un Islam catechistico e non vissuto, molto più di quanto lasci serena la ragazza tunisina che ha vissuto la verità di un mondo arabo ovviamente più libero e sfaccettato spiritualmente di quanto i mullah di quartiere lascino intendere in certe moschee di periferia. L’idea vincente del film è che la parola sia rivoluzionaria, che il dire il desiderio inneschi un dialogo d’amore che è incontro, conoscenza, confusione. E l’idea ancor più vincente è che Leyla Bouzid abbia scelto un corpo maschile per questo dissidio identitario, spingendo la questione in una prospettiva piuttosto inedita: l’insicurezza con cui Ahmed affronta il sentimento che lo invade e il turbamento che provoca in lui la disinvoltura del suo oggetto d’amore, sono la chiave d’accesso a una visione della questione identitaria di seconda generazione che parla per una volta in termini di sentimenti e di desideri, che affronta il dissidio e la falsa integrazione come una questione dello spirito, prima ancora che sociale.
Infatti, in un film così brûlant di passione e sentimento, le cose che funzionano meno (perché più didascaliche) sono proprio quelle che attengono la sfera sociale: i ragazzi del quartiere che spingono Ahmed a badare alla sorella troppo disinvolta, l’amico integralista che non accetta il suo atteggiamento disilluso sul modello di vita islamico… Mentre funzionano meglio quelle sfumature legate al rapporto implicito del ragazzo con la propria cultura: lo straniamento dinnanzi alla parola araba, alla scrittura da destra e ai caratteri che non sa leggere e tradurre, l’abbandono al ritmo della musica tradizionale… E poi questo è un film che brucia di desiderio nella parola, che si accende di passione nel dire, trovando anche la pulsione visiva insita in tutto questo, l’idea che l’attrazione sia una funzione dello sguardo, che i corpi si accarezzino prima attraverso gli occhi che con le mani. La verginità di Ahmed è un tema che riguarda il suo corpo ma anche la sua mente: il timore e il bisogno di conoscere un altro corpo, dunque un altro mondo, di appropriarsene come atto d’amore trattenuto (ritrovando nella memoria una lontana visione di Layla, Ma Raison di Taieb Louhichi…).