Dal 1999 al 2025 in una carrellata lunga e travolgente in cui si racconta la storia di due famiglie, senza aver paura di smarginare e deviare il percorso verso strade non tradizionali. Il nuovo film del cinese Jia Zhangke Al di là delle montagne infiamma il concorso del festival di Cannes con il melodramma della vita, incastonato nei luoghi da sempre cari al regista. Tutto inizia con il capodanno del nuovo millennio. I protagonisti sono giovani, spensierati, completamente rivolti verso il futuro, che sembra voler irrompere con prepotenza. Due ragazzi innamorati della stessa ragazza. Uno lavora in una miniera di carbone (e con le sue montagnole di terra e i buchi scavati condiziona il paesaggio e la vita di tutti), l’altro, più rampante e aggressivo, è proprietario di una stazione di servizio. Carbone contro petrolio, come dire la lenta tradizione contro la velocità del cambiamento. Lei sposa il secondo spezzando il cuore al primo, che parte e sparisce. Tornerà anni dopo, malato di cancro, con moglie e figlioletto, sempre portatore della stessa lenta caparbietà.
Tra i due estremi si pone Tao, donna allegra di un entusiasmo quasi disarmato. Il suo sguardo sulle cose è quello sorpreso dei primi film di Jia Zhangke. Ampio e affamato, sorretto da una sottile vena di malinconia che percorre i suoi gesti e i suoi silenzi. Non c’è spazio per i rimpianti, certo, ma in questo film, che segue una forma circolare senza mai ritornare sui propri passi, si ha sempre l’impressione che qualcosa sfugga oltre i margini dello schermo e la ricchezza della messa in scena, di fatto, voglia proprio indirizzare l’attenzione sui dettagli solamente accennati, sulle cose taciute, sulle immagini non viste. Si procede con continue ellissi, più o meno profonde, si perdono i fili di alcuni discorsi per iniziarne altri, sapendo già che nulla avrà una fine in senso letterale o tradizionale. E non è un caso che il film inizi senza titoli (arriveranno dopo un’ora), nel bel mezzo dei festeggiamenti del capodanno. Nessuna presentazione, solo la sensazione di una corsa che pare inarrestabile verso il futuro. E questo arriva con tutte le contraddizioni e l’acuirsi delle malinconie di cui si diceva. Il 2014, infatti, non si dimostrerà all’altezza delle aspettative, ma è il momento in cui inizia a definirsi un centro apparentemente mancante. Un centro rappresentato da Tao, ora donna divorziata, ma radicata nella stabilità dei suoi luoghi. È lei a farsi custode del passato (le chiavi di casa lanciate con rabbia dall’amico minatore prima di fuggire via), è lei a incarnare i valori della continuità e dell’accoglienza. Lo si capirà solo nell’ultimo episodio, ambientato nel 2025, tra l’Australia dominata da ricchezza benessere e la piccola città di Fenyang. Ancora l’alternanza di tradizione e rinnovamento, ancora un pensiero profondo su quello che sta al centro delle due direzioni opposte. In questo episodio, segnato da diverse derive esistenziali, sono le parole a comunicare il loro valore. Le studia il figlio di Tao, che ora vive con suo padre dall’altra parte del mondo, in una casa fatta di vetri e di opulente freddezza. Le scompone e le interroga l’insegnante di cinese, illusa proprio dall’esattezza delle parole, mentre queste, via via si rivelano scrigni di memoria e ricordi. L’infanzia lasciata fuggire, una madre lontana, le chiavi di casa appese al collo del giovane da quando aveva sette anni.
Ecco, in tutto questo lungo percorso di contrasti, racconti, deluse aspettative, si disegna il passare del tempo, la Cina e il mondo che sta negli occhi di Jia Zhangke. Qui si rivela il senso delle immagini, il loro comunicare lontananze impensabili con semplicità e immediatezza. Un film che ci racconta la rivoluzione economica degli anni Duemila, il rischio dell’oblio e della decadenza – come i faraglioni crollati in pochi anni lungo la costa australiana – ma anche il permanere di alcune certezze, che abitano i pensieri e i sentimenti degli uomini. “I vecchi amici sono come le montagne e i fiumi”, recita la traduzione del titolo originale cinese.