Composizione figurativa algida, personaggi che si muovono negli spazi della Milano di quartieri segnati da architetture tanto moderne quanto aliene nelle loro “esattezze”, dinamiche narrative e tracce formali che pescano in memorie di cinema “giocando” in particolare con i codici del noir e del melodramma da ri-disegnare nel procedere di una storia dove ognuno assume molteplici identità in un cinico gioco delle parti che vedrà tutti sconfitti o, a specchio, tutti salvi ingannando in una espansa rappresentazione di crudeltà chi sta accanto a loro. Perfetta illusione è il ritorno al cinema di finzione di Pappi Corsicato a dieci anni di distanza da Il volto di un’altra (del 2012). E bisogna risalire ancora indietro nel tempo nella filmografia del regista napoletano – che ha trascorso lunghi periodi a firmare cortometraggi e testi inscritti nel corpo e nella storia dell’arte – per trovare gli infine altri suoi pochi film a soggetto: Il seme della discordia (2008), Chimera (2001), I buchi neri (1995) e il suo esordio Libera del 1993. Cinema sempre di corpi che mutano, quello di Corsicato. E che in Perfetta illusione trovano nuova collocazione geografica e fisica. Un film dallo sguardo volutamente freddo, quest’ultimo che vede protagonisti uomini e donne di generazioni diverse che, scena dopo scena, non esiteranno a mettere in campo una gamma di perfidie, menzogne, sadismi, truffe per cercare di uscire indenni dalle situazioni più intricate nelle quali si sono cacciati.
C’è una giovane coppia sposata: lui, Toni (Giuseppe Maggio), lavora in una spa, ha avuto una promozione, ma viene licenziato in tronco quando scoperto a frugare nello spogliatoio tra gli indumenti intimi di una cliente, Chiara, che si rivelerà essere una figura potente e ricca; lei, Paola (Margherita Vicario), che non ha mai creduto nel talento artistico del marito, conta sui soldi in arrivo per aprire un negozio insieme al proprietario che le chiede di investire un sacco di denaro per entrare in società. Ma Toni non rivela a Paola la sua nuova condizione di disoccupato. C’è la già nominata Chiara (Carolina Sala), curatrice d’arte – i cui genitori Adele (Sandra Ceccarelli) e Roberto (Maurizio Donadoni) appartengono, come d’altronde lei, all’alta borghesia introdotta nelle alte sfere delle gallerie – che casualmente ritrova Toni dandogli una nuova opportunità lavorativa nel suo studio invitandolo a dipingere e promettendogli una mostra che riuscirà ad allestire. E ci sono altri personaggi che entrano ed escono dalle scene di questo melodramma-noir ambientato nel mondo dell’alta società. Gli inganni verranno alla luce producendo vendette incrociate in una girandola di corruzione dove ognuno cerca di trarre profitto dalle disgrazie in corso.
Corsicato allestisce una scenografia d’esterni e d’interni anche fin troppo rigorosa nelle scelte estetiche che producono geometrie visive al tempo stesso seducenti e irritanti (si pensi soprattutto al costante ricorso al fuoco e al fuori fuoco per descrivere lo stato delle cose in continuo mutamento, ma che ha come risultato una assuefazione a quella modalità espressiva che diventa manierismo fine a se stesso). Un “gioco” cinefilo pregno di un suo fascino grazie anche a un gruppo d’attori e d’attrici che sa bene di-segnare gli spaesamenti intessendo una recitazione “rigida” e proprio per questo funzionale al “vuoto” che abita gli animi di quei personaggi (salvo cadute di gusto che si sarebbero potute e dovute evitare, come nel caso del cameo del critico d’arte Francesco Bonami nel ruolo di se stesso, figura baronale fuori e dentro lo schermo con le sue battute detestabili sulla funzione della critica e di chi esibendo la sua influenza si dichiara stufo di quell’ambiente, pur continuando a frequentarlo con supponenza e narcisismo). Perfetta illusione è così un corpo ibrido sospeso tra la fascinazione per la materia individuata per essere indagata e il limite per la rappresentazione della stessa.