Impossibile non vedere Top Gun: Maverick con negli occhi le immagini del film del 1986, diretto da Tony Scott che aveva letteralmente sbancato i botteghini di tutto il mondo. Impossibile anche perché tutto in questo sequel è modellato sull’idea di un ricordo che non è possibile affievolire: Pete “Maverick” Mitchell non riesce a dimenticare la morte del suo gregario Nick Bradshaw “Goose” morto durante un’esercitazione ed ogni cosa nella base di San Diego è lì a ricordarlo a tutti. Un film nel film, una leggenda nella leggenda, che fa grande uso di immagini e sequenze d’epoca, fin dai primissimi minuti, con la musica di Giorgio Moroder, i tramonti infuocati, i personaggi, i conflitti, le dinamiche tra aviatori, un’estetica che ha condizionato la storia del cinema per almeno vent’anni. Una sorta di resa dei conti per andare avanti e uscire da una fissità che avrebbe costretto il primo Top Gun a restare imprigionato nei suoi stessi fasti. Ecco svelata la missione di questa nuova avventura, che la squadra composta da Joseph Kosinski, Jerry Bruckheimer e Christopher McQuarrie, oltre allo stesso Cruise, porta a compimento con tutti gli onori: tornare indietro per “andare oltre” come dice Ice a Maverick. Poca retorica e molta azione.
A svelare i primi cambiamenti, paradossalmente, è il protagonista, perché quel ragazzo spavaldo e disobbediente continua a non seguire le regole ma si è fatto accogliente e paterno, protettivo e preoccupato delle conseguenze. Una raffinatezza che non passa inosservata e che rende Top Gun: Maverick un film pensato e sapiente nell’offrire agli spettatori di oggi il mito “leggero” che fu, arricchendolo, però, di un vissuto consapevole. Non stupisce che per Tom Cruise (che ha fortemente voluto il film) sia il più grande successo di incassi dai tempi di La guerra dei mondi, dando ragione a chi ha preferito aspettare la riapertura delle sale dopo il Covid (l’uscita era prevista nel 2020 ma è stata più volte rinviata), anziché lanciarsi nell’universo caotico delle piattaforme di streaming. Nel suo modo dolcemente nostalgico, non poteva che essere la sala ad ospitare e celebrare il coraggio dei migliori piloti del mondo, coinvolti in un’avventura più epica che bellica, dove il fattore tempo, inteso nella sua dimensione più ampia possibile, è il vero centro, l’ombra con cui fare i conti e contro cui combattere. È bello pensare di trovarci di fronte ad un nuovo seme, che saprà contagiare con ironia, equilibrio e maturità il cinema spettacolare dei prossimi decenni.