Si intitola Gli schermi e l’Islam. Dieci film dal e sul mondo arabo, la rassegna promossa dal Museo Nazionale del Cinema di Torino e ospitata dal Cinema Massimo dall’8 al 26 giugno. Oltre al ciclo di proiezioni viene proposto il volume Gli schermi e l’Islam – 400 film di Giuseppe Gariazzo e Giancarlo Zappoli (Centro Studi Cinematografici pag.204 euro 10), un’interessante mappatura in progress che comprende 400 schede di film equamente suddivise tra produzioni arabe, mediorientali e occidentali. Qui sotto la presentazione del volume alla quale sono intervenuti oltre agli autori, Grazia Paganelli del Museo Nazionale del Cinema, lo scrittore iraniano residente a Torino Hamid Ziarati e lo scrittore siriano residente a Milano Mohammad Houssam Mouazin.
Ecco l’introduzione di Giuseppe Gariazzo che apre il volume.
Introduzione
Film di Paesi Musulmani
La geografia cinematografica del Nord Africa e del Vicino e Medio Oriente è complessa e stratificata, densa al suo interno di una moltitudine di lingue, culture, espressioni territoriali, percorsi estetici, dinamiche narrative. Le schede presenti nel volume si riferiscono a film (di finzione e documentari,
lungometraggi e cortometraggi) realizzati dal 2001 (assunto come anno-spartiacque segnato dalla data dell’11 settembre, divenuta simbolo di un “prima” e un “dopo”) all’inizio del 2016 e prendono in considerazione le filmografie dei paesi del Nord Africa, ovvero i cinque del Maghreb (Marocco, Algeria, Tunisia, Mauritania, Libia) e l’Egitto, quelle di alcuni paesi del Golfo (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Yemen) e della galassia mediorientale (Turchia; Libano, Siria, Palestina; Iraq, Kurdistan, Iran, Afghanistan), e quelle “apolidi” (si pensi alle opere della famiglia Makhmalbaf in Afghanistan, ai film di Karin Albou, alla ostinata e geniale “resistenza” di un cineasta beur come Mahmoud Zemmouri, solo per citare alcuni esempi). Si tratta di un cinema nordafricano e mediorientale attento alla rappresentazione del proprio presente e della propria Storia con toni ricchi di sfumature, di profondità; puntuale nella descrizione di cambiamenti sociali e politici sempre nel segno dell’osservazione degli individui, dei loro rapporti, delle tensioni che si creano ed esplodono in uno stato di conflitto. Questo volume invita a compiere un viaggio nel cinema dei paesi islamici. Un viaggio non esaustivo, un “work in progress”, una “prima” panoramica su titoli, autori, pezzi di cinematografie che hanno contribuito in maniera significativa alla riflessione e al dibattito e che oggi si presentano ancor più attuali e imprescindibili di fronte alle semplificazioni occidentali adottate parlando di Islam e di “mondo musulmano” (a partire da quelle inerenti il terrorismo e la stagione delle “primavere arabe”). Un viaggio alla (ri)scoperta di opere ancora troppo spesso confinate nei circuiti festivalieri e poco presenti nelle sale (in particolare quelle italiane), che hanno disegnato le linee di una mappa dove i percorsi non sono autoreferenziali, paralleli, bensì convergono, si incontrano, si nutrono reciprocamente costruendo un gioco di specchi dove si riflettono identità plurali. Il lettore troverà quindi schede di film firmati da autori affermati (il mauritano Abderrahmane Sissako, gli iraniani Jafar Panahi, Mohsen Makhmalbaf, Asghar Farhadi, gli egiziani Youssef Chahine e Yousry Nasrallah, i palestinesi Rashid Masharawi, Elia Suleiman e Hany Abu-Assad, il siriano Mohammad Malas e i turchi Nuri Bilge Ceylan e Fatih Akin…), da registi che stanno elaborando il proprio percorso filmico tra Oriente e Occidente, alcuni dei quali in stretto legame con l’Italia (come l’iraniano di origine curda Fariborz Kamkari e l’iracheno-italiano Haider Rashid) e da giovani che, per esempio in un paese devastato da anni di guerra come la Libia, hanno preso in mano una videocamera per documentare la “normalità” del vivere sotto occupazione. Perché per tutti, siano grandi cineasti o filmakers agli esordi, esiste l’urgenza di far conoscere dal di dentro, prendendo in prestito il titolo di un film del tunisino Mahmoud Ben Mahmoud, “le mille e una voce dell’Islam”.