È finalmente disponibile in dvd e blu-ray (oltre che in cd e vinile), sontuosa sintesi delle 157 date del tour planetario che Roger Waters intraprese tra maggio 2017 e la fine del 2018, dandogli il nome di una memorabile traccia di The Dark Side of the Moon (1973). Ci troviamo di fronte a qualcosa che va decisamente oltre il concetto di film in cui è riunito il meglio di una tournée già straordinaria di suo, tanto sul versante della musica in senso stretto che dello spettacolo tout court. Us + Them – The Movie, firmato da Sean Evans (già autore in proprio di Roger Waters:The Wall) e dallo stesso Waters, è piuttosto l’esempio di come la potenza versatile del cinema possa garantire un valore aggiunto anche rispetto a una serie di concerti che sembravano (che erano) già perfetti. Quel di più risiede non tanto nella possibilità di combinare materiale esterno al live (succede, ma non che sia poi così importante), quanto nella scelta consapevole di farci vedere una miriade di dettagli significativi del palco e di chiunque lo occupa (protagonista, band, ospiti, ballerini, tecnici) moltiplicando le prospettive della fruizione diretta. Immagini e suoni arrivano in sequenza, rendendo impossibile distogliere lo sguardo e l’udito: una coppia di sensi sollecitati a dismisura, che comunicano l’impressione che tutto ciò che sta intorno si espanda, abbattendo muri, oltrepassando confini. D’altronde i concerti da cui il film trae origine sono stati una tale delizia per le orecchie, per gli occhi, per il cuore (chi scrive lo afferma sulla base di una duplice esperienza nazionale, a Milano e Bologna), da lasciare ammirati, e scossi nel profondo.
Se nel corso degli anni pensavamo di aver sentito e visto tutto di Roger Waters e della sua ieratica e magari a volte ridondante proposta musicale, ebbene l’ Us + Them Tour ha minato le nostre certezze. Ritenendosi da sempre l’anima dei Pink Floyd, Waters ha voluto ribadire una volta per tutte il concetto, facendo non solo ricorso alle architetture maestose che gli sono congeniali, ma anche adottando una scaletta che più pinkfloydiana non avrebbe potuto essere. Inoltre, c’è la questione della coerenza e dell’omogeneità: l’artista amplia nel tempo il suo discorso antropologico, che è allo stesso tempo personale e universale, aggiungendo materiale (sonoro, sul piano dei contenuti) che non rompe l’unità dell’insieme, anzi si integra con quanto c’era prima; e Roger continua a non mandarle a dire ai potenti, mettendo disinvoltamente Trump e Erdogan al centro del suo bestiario attuale, esattamente come ieri (The Wall, 1979) puntava il dito contro altri signori dei muri, il sovietico Breznev e il sudafricano Botha. Attaccando senza tregua, attraverso i cattivi lontani o vicini nel tempo, i mali da contrastare, si chiamino essi alienazione o conformismo, consumismo o avidità, imperialismo o prevaricazione, stupidità o fanatismo; senza trascurare il dramma dei migranti, che al momento sarà pure cronaca, ma riempie tante pagine di (brutta) Storia. Suoni di geometrica, abbacinante bellezza (a cui contribuiscono senz’altro la chitarra ritmica di Jonathan Wilson e la voce delle biondissime Lucius) esaltano Time, Dogs, Eclipse, mentre con Wish You Where Here e Mother la palpabile commozione dell’artista si specchia nelle lacrime che rigano certi volti in platea. La componente visiva, che non è mai stata un semplice complemento nei live di Waters, ha superato in questa occasione tutte le costruzioni precedenti: accanto alle abituali macchine volanti, mozza il fiato la potenza magnetica dello schermo multiforme che incombe dall’alto sul pubblico, riproducendo la Battersea Power Station di Animals, per poi alternare immagini apocalittiche con altre di speranza.
Perfino chi ripensa con nostalgia all’epopea dei Pink Floyd, quando Mason e Wright faticavano a contenere le tendenze centrifughe dei due galli del pollaio, deve accettare una verità incontestabile: dalla rivalità tra Waters e Gilmour hanno tratto giovamento la (loro) musica e lo spettacolo. La competizione interna ha generato alcune tra le gemme più luminose del rock psichedelico, mentre ancora oggi, a debita distanza, ciascuno dei due si inventa show grandiosi o singolari per superare l’altro. Peraltro con rispetto, senza scimmiottare la parte mancante, esaltando semmai le proprie caratteristiche. Godere della musica dal vivo – esperienza resa quasi impossibile dalla deriva pandemica – resta un’esperienza unica. Ma quella regalata da un film come Us + Them è quanto di più vicino al live abbiamo mai sperimentato.