Tra l’Oceano Pacifico e il Mare Cinese, e precisamente fra le quattro aree maggiori del Giappone e Taiwan, si situa geograficamente il complesso delle isole di Okinawa, parte dell’arcipelago delle Ryukyu. Un luogo anch’esso sospeso tra più realtà, complice una storia decisamente complessa: indipendenti fino a un certo punto della loro storia, le isole sono state poi annesse al Giappone nel XIX secolo, salvo poi diventare un protettorato statunitense dopo la Seconda Guerra Mondiale e la battaglia del 1945, tra le più cruente del lungo conflitto nel Pacifico. Infine, nel 1972, è avvenuta la riconsegna al Giappone, nei cui confronti è rimasto però un rapporto ambivalente e subalterno, come sottolinea pure il cinema popolare dell’epoca: in Sympathy for the Underdog, del 1971, Kinji Fukasaku ne fa il teatro di rivalsa di un gruppo di yakuza ridotti in disgrazia in Giappone e che pensa così di potersi ricostruire un potere in quel luogo estraneo ai traffici della loro madrepatria. Tre anni dopo, in Godzilla contro i robot, il sauro atomico riceve aiuto dal dio King Caesar, personificazione delle Shisa, le statue decorative tipiche di Okinawa raffiguranti i leggendari guardiani dell’isola. Un luogo dunque molto simbolico per comprendere ancora di più le problematiche e le divisioni che animano la realtà giapponese, dove il dibattito identitario (e il rapporto con le varie etnie che compongono il complesso delle sue isole) è sempre molto forte. Giunge perciò gradita la proposta di Rizzoli Lizard di distribuire anche in Italia Okinawa (pag.520, euro 25) , eccellente manga storico di Susumu Higa che raccoglie una serie di fumetti dell’autore, originariamente pubblicati in due libri (Spada di sabbia e Mabui), qui riuniti in un solo ed elegante volume rilegato.
Higa è nativo proprio di Okinawa, cui ha dedicato il corpus principale della sua opera, finora rimasto trascurato dalle pubblicazioni nostrane – va segnalata soltanto l’illuminata proposta del defunto editore d/books che nel 2005 pubblicò l’ormai introvabile Kajimunugatai: racconti di vita e di morte portati dal vento. Seguendo un ordine cronologico, i due libri esplorano la vicenda storica di Okinawa dalla Seconda Guerra Mondiale (cui è dedicato quasi integralmente il primo libro) al presente, attraverso storie focalizzate su piccoli eventi, nello sfondo più ampio garantito dai complessi rapporti con la presenza americana, prima con l’arrivo delle truppe statunitensi in pieno contesto bellico e poi con lo stanziamento delle basi militari, che diventano anche una fonte economica per gli abitanti delle isole. Viene così abbandonata ogni componente esotica (Okinawa è di fatto una meta turistica privilegiata del Giappone) per scandagliare il complesso insieme dei rapporti umani degli abitanti, il rapporto contraddittorio con i militari e il fecondo legame con la spiritualità, che a partire da un certo punto in poi eleverà a personaggio ricorrente la yuta (sciamana) Kamada Asato, che campeggia anche in copertina e che risulta in grado di colloquiare con i mabui, ovvero le essenze spirituali dei personaggi, mostrando loro le proprie responsabilità e colpe.
Si rinnova in tal senso la ricerca di un’identità frammentata fra le mille contraddizioni storiche, sociali e umane di una realtà che cerca pervicacemente di mantenere un rapporto sincero con la memoria e la Storia, forte di una spiritualità che guarda al rapporto con la natura e con gli antenati, salvo doversi scontrare con quotidiane difficoltà e la disillusione portata dai problemi annessi. Si passa così da racconti più traumatici, in cui gruppi di abitanti si suicidano pur di non cadere prigionieri dei “demoni” americani, a quelli più problematici (i bombardamenti in tempo di guerra, la caduta di mezzi militari e i danni che ne derivano in quelli di pace), fino a una visione più moderna e intrecciata alle dinamiche connesse al capitalismo (un tombarolo che ruba i reperti del passato per potersi concedere svaghi di lusso), ma senza dimenticare anche il legame profondo che unirà a quella terra i suoi abitanti e non solo (come nel racconto del militare americano diventato allenatore di baseball di una squadra locale, che torna a visitare nostalgicamente quei luoghi). In uno dei segmenti più belli, La scuola, che Higa ha dedicato a Osamu Tezuka, un gruppo di studenti cerca di salvare dei testi storici sepolti da centinaia di anni e ormai compromessi (una volta portati allo scoperto la carta si disintegra, quindi l’unica soluzione è ricopiarli), fino a una conclusione agrodolce che comunque ribadirà la caducità e il valore della vita. L’eroismo dei singoli e le colpe di chi dimentica sono dunque i temi portanti di un’antologia di grande rigore umano e morale, affrontata con piglio rasserenato come il tratto molto pulito e essenziale nella descrizione delle figure.
Higa lavora su uno schema visivo classico, nonostante la realizzazione recente (i libri sono stati realizzati fra il 1992 e il 2010), su vignette con ombreggiature ridotte al minimo e poca profondità di campo, dove i personaggi occupano quasi sempre il centro, frontalmente rispetto al lettore, esponendo la complessità dei loro sentimenti in maniera completa e in grado di trasmettere con pacatezza il turbinio di problematiche al centro dei vari intrecci narrativi. La sua lezione diventa così paradigma di tutte le realtà attraversate dalla guerra e afflitte dalla colonizzazione, parlando anche al nostro presente e mettendoci in relazione con un testo semplice nell’approccio, ma straordinariamente vivido e emozionante nella resa. L’edizione si giova della traduzione di un autore sensibile e esperto di cultura giapponese come Vincenzo Filosa ed è completata dalle postfazioni originali di Higa, da una sua intervista e da un saggio sulla storia di Okinawa, a cura dell’attivista locale Shinako Oyakawa.