L’apocalisse è un fiume di parole – Il mondo dopo la fine del mondo di Nick Harkaway

Un’arma di potenza inaudita, le bombe svuotanti, è stata impiegata nell’ennesimo conflitto fra gli Stati Uniti e uno Stato Canaglia a caso. Risultato: quasi tutto il mondo è invivibile, popolato da creature mostruose. La sottile striscia di terra ancora adatta a ospitare insediamenti umani esiste grazie a una sostanza pompata nell’aria da una megacorporazione. Finché un incendio non mette a repentaglio l’integrità del maggiore impianto di produzione di detta sostanza. Qui entra in gioco una squadra di ex militari che riceve l’incarico di trasportare sul luogo del disastro gli ordigni che, con le loro esplosioni, li aiuteranno a estinguere le fiamme. Il convoglio parte in una missione di salvataggio con in palio la salvezza del mondo. E questo è solo l’inizio! Scritto da Nick Harkaway, figlio di John Le Carrè, Il mondo dopo la fine del mondo  (451, pag.588, euro 19) è in ogni senso possibile un romanzo fiume. Non solo per la notevole lunghezza, ma per la ricchezza di una scrittura strabordante e impetuosa che procede di continuo e per accumulo, che aggiunge al libro narrazioni su narrazioni, informazioni su informazioni fino a raggiungere una massa critica che solo in apparenza è casuale. Harkaway, in realtà, coordina abilmente una quantità notevole di storie, personaggi e interazioni che sembrano andare per la tangente ma, orchestrate con grande precisione, vanno a costruire un worlbuilding coerente e, soprattutto, un meccanismo in cui tutto finisce per avere perfettamente senso nonostante un indice di follia davvero vicino al livello di guardia.

 

 

 

Harkaway infatti non si tira mai indietro, niente per la sua scrittura è troppo assurdo perché tutto trova posto: ninja, mimi, manager, guerra, amore e una lunga storia di formazione che più di una volta ti disorienta ma quando ne capisci la funzione capisci perché l’autore sa il fatto suo. Il collante che tiene insieme tutto è l’ironia. Senza mai scadere nell’umorismo cheap, Il mondo dopo la fine del mondo riesce a scherzare con intelligenza sempre e comunque, senza mai perdere una battuta, senza lasciar cadere una singola situazione assurda che strappa un sorriso, il tutto portato avanti da uno stile frizzante che sopperisce ampiamente a momenti in cui il ritmo rallenta parecchio e si sente. Certo, alla base c’è una necessità derivata dall’architettura imponente e complessa, ma senza la scrittura scoppiettante di Harkaway il passo del romanzo ne sarebbe uscito penalizzato, forse addirittura soporifero.
E invece no, Il mondo dopo la fine del mondo è un romanzo che richiede il suo tempo, con una sua profondità ma sempre e comunque divertente, un page turner che ti porta alla fine della storia nonostante il suo peso e la sua densità grazie anche a una serie di trovate geniali che vanno oltre la sorpresa a effetto. Il romanzo di Harkaway appartiene a quella narrativa fatta soprattutto di idee, di immaginazione, che finge di essere ombelicale (e qui chi scrive sospetta che ci sia sotto un gigantesco intento parodistico nei confronti di un certo modo mainstream di fare letteratura) per prendere il lettore in contropiede e trascinarlo in una narrazione fatta di movimento continuo, scene e invenzioni, che porta con sé interrogativi, riflessioni e una visione del mondo senza bisogno di perdersi in sermoni o pippe mentali altisonanti quanto inutili.