L’interiorità è un confine labile: Labirinti di Charles Burns tra immaginario e incomunicabilità

Brian è un giovane appassionato di fumetti e vecchi film horror, talentuoso nel disegno quanto irrimediabilmente timido. A una festa, mentre come al solito se ne sta in disparte con blocco e pennarelli a dare sfogo alla sua immaginazione a metà fra il bad trip e i bug eyed monsters, conosce Laurie, di cui a modo suo s’invaghisce. Fra i due inizia un gioco in cui i ragazzi provano ad avvicinarsi, complice una forte difficoltà a comunicare, soprattutto da parte di Brian, che inizia a fantasticare su Laurie fino a sognarla a occhi aperti e a rappresentarla nelle sue illustrazioni, espressione di un immaginario profondamente weird fatto di creature aliene, situazioni inquietanti e un pizzico di erotismo nell’immaginare la ragazza senza vestiti. Con Labirinti (Coconino Press, pag.64 euro 20) il fumettista Charles Burns torna su un terreno a lui molto congeniale, si potrebbe dire il suo elemento naturale: l’adolescenza. Un’età fatta certamente di scoperte, soprattutto nella sfera erotica, ma soprattutto di tormenti vissuti con quella tendenza, tipica di quegli anni, a drammatizzare tutto e a vivere ogni contrasto nella maniera più intensa possibile, arrivando a soffrire tantissimo per motivazioni spesso fondamentalmente futili. Un ribollire confuso in cui Burns mette le mani fino al gomito raccontando la cronica incomunicabilità che affligge il giovane Brian, incapace di viversi i rapporti sociali, specie con le donne, in maniera serena e lineare. Il ragazzo filtra tutto attraverso l’immaginazione, quella vena poetica vagamente disturbante che gli serve da corazza e da sguardo sul mondo, con cui lui crea i suoi strumenti per interpretare quello che gli succede intorno. Ed è proprio in questo mondo interiore che l’immagine di una Laurie idealizzata viene inserita ed elaborata nel suo scenario interiore, come parte di una situazione tra l’incubo e il sogno erotico. Laurie, dal canto suo, prova ad avvicinarsi a Brian, prova a entrare nel suo mondo un passetto alla volta, con la pazienza di una santa, fingendo di divertirsi con passatempi, quelli di Brian, di cui a lei interessa fino a un certo punto. Ma Brian la incuriosisce, e un po’ le piace, e allora lei ci prova, a stabilire un contatto che non sia superficiale.

 

L’abbattimento delle barriere fra l’interiorità e il mondo esterno, e il reciproco influenzarsi a un livello tutto visuale, è uno dei leitmotiv dei fumetti di Charles Burns che qui fa l’operazione inversa rispetto all’opera che lo ha consacrato, Black Hole, in cui la metafora dell’adolescenza prende corpo fisico in una malattia sessualmente trasmissibile con effetti sfiguranti, che porta gli adolescenti a ritirarsi nei boschi per vivere isolati. In Labirinti  il protagonista parte isolato, anche se di fatto cammina in mezzo agli altri, e il processo trasformativo avviene tutto nella sua testa, al limite viene trasposto su carta ma resta un’operazione prettamente immaginaria. Tuttavia, cambiando l’ordine degli addendi il risultato rimane invariato, l’adolescenza rappresentata da Burns è sempre un processo travagliato, a tratti oppressivo come i neri pieni e pesanti delle sue tavole, senza scampo come quel suo tratto pastoso e senza sfumature, come una situazione da cui non c’è via di fuga nemmeno a desiderarla con tutte le proprie forze. Ma Brian una via di fuga non la desidera, o forse ha smesso, a lui basta la comfort zone che s’è inventato, che lo aiuta ad affrontare un mondo per cui sembra non essere fatto, e da cui si allontana appena può. E forse anche per questo, la curiosità di Laurie ha qualcosa di invadente, forse non definibile come violento tout court ma in qualche modo, quello sì, doloroso, come il mondo che a volte entra a forza nella fragilità che conosce solo un ragazzo giovane nel suo difficile rapporto con gli altri.