L’upgrade del mito: Terminator Zero di Masashi Kudō, la serie animata di Netflix

Nell’anno 2022 una guerra senza quartiere fra le macchine guidate dal supercomputer autocosciente Skynet e quel che rimane della civiltà umana funesta il pianeta ormai ridotto a una distesa di macerie fumanti. La strenua resistenza degli umani tenta un disperato colpo di reni inviando una soldatessa di nome Eiko nel 1997. La sua missione è proteggere Malcom Lee, un talentuoso scienziato impegnato nella progettazione di Kokoro, un’intelligenza artificiale tanto capace e complessa da tenere testa a Skynet stesso. Mentre Lee è impegnato in una lunga e complessa discussione di natura etica con una Kokoro prossima a venir messa on line, un terminator, gli assassini cibernetici del supercomputer nemico degli umani, viene mandato dal futuro per sterminarlo prima che porti a termine il suo progetto. Mentre Eiko mette in campo ogni mezzo possibile per proteggere lo scienziato e i suoi figli, ma la famiglia sembra nascondere diversi misteri la cui soluzione viene rivelata che il terminator si avvicina al suo obiettivo, cambiando progressivamente le carte in tavola e, forse, la sorte del mondo. Nell’incessante opera di riassemblaggio di idee, immagini e narrazioni che è il postmoderno, soprattutto in quella sua nostalgica accezione che porta a un continuo revival delle proprietà intellettuali commerciali dai tardi anni ’70 in poi, l’epoca d’oro della sinergia cartoni animati – merchandising, non è sempre semplice aggiungere senso e spessore a lore e mitologie che talvolta sono perfette, o quasi, così come sono. Una di queste è il franchise di Terminator che, per lo più con le prime due pellicole della saga, sembra aver detto più o meno tutto quel che aveva da dire. L’inseguimento senza respiro del primo film e l’epicità disperata dell’azione del secondo hanno una potenza tale che davvero è difficile dire qualcosa di più se non in termini di una continuazione per lo più fiacca di una saga che non ne sentiva il bisogno, e non a caso i seguiti della saga non si avvicinano nemmeno ai due film capostipite.

 

 

Per aggiungere spessore all’universo narrativo creato da James Cameron c’è voluta una scelta radicale che consiste nell’integrare nel team creativo un elemento alieno. Terminator Zero (ideato da Masashi Kudō, scritto da Mattson Tomlin ) trasmesso da Netflix, è infatti un anime. Ha il look di un anime, il ritmo di un anime e racconta la storia come un anime, pur conservando una forte coerenza con lo spirito della saga originale senza perdersi in mille fanservice gustosi per qualcuno ma per lo più inutili quando non dannosi per l’opera. L’innesto si fa sentire e il prodotto per diversi aspetti è nuovo rispetto a quanto già visto ma si tratta di una novità positiva, efficace nel rinfrescare il franchise aggiungendo strati di complessità sia a livello di meccanismi narrativi sia a livello di spunti di riflessione. Non manca l’inseguimento con momenti slasher, non manca l’azione muscolare e fracassona con sparatorie ed esplosioni di grandi proporzioni, non manca l’ambientazione urbana, quel terreno di caccia fatto di fughe a velocità folle sull’asfalto, elementi architettonici utilizzati ora come nascondiglio ora come arena, non manca il futuro con il suo cielo plumbeo e i suoi umani che resistono coperti di stracci. Non manca il terminator. Inarrestabile, con la sua voce monocorde e la sua lentezza inesorabile.

 

 

Quel che si aggiunge alla ricetta è l’ingrediente di una fantascienza alta, a tratti filosofica, che apre scenari sia approfondendo le riflessioni quantomai attuali sull’intelligenza artificiale sia ampliando il respiro della narrazione con bombardamenti extra atmosfera e l’ascesa a condizioni quasi divine di intelligenze artificiali a cui gli autori conferiscono un’aria da personaggi di testi sacri che mettono in soggezione. Certo, forse Terminator Zero non s’imprimerà nell’immaginazione collettiva come Terminator e Terminator 2, ma, considerando la velocità con cui l’industria dell’intrattenimento macina e somministra la serie riesce a distinguersi e, fra tutte le opere che si ripropongono di rinverdire la mitologia dei soldati di Skynet, questa è attualmente la migliore.