Fino al 24 settembre presso Kunst Meran Merano Arte si può visitare la mostra Vielheit [molteplicità]. Storie dalla società post-migrante, a cura di Jörn Schafaff, che vede gli interventi di Bani Abidi, Sol Calero, Clément Cogitore, Pradip Das, Nicolò Degiorgis, Barbara Gamper, Nadira Husain, Pinar Öğrenci, Willem de Rooij, Ecaterina Stefanescu, Rirkrit Tiravanija, Haegue Yang e Želimir Žilnik. La mostra Vielheit [molteplicità] ci fa esplorare la complessità delle società post-migranti attraverso approcci diversi, documentari e poetici, gli interventi artistici in mostra esplorano cosa significa comprendere i cambiamenti sociali e culturali al di là delle semplici concezioni di appartenenza. L’attenzione è rivolta non da ultimo a quelli che la studiosa di migrazione Regina Römhild ha definito “momenti eterotopici di convivialità”: quei tanti piccoli eventi di successo basati sulla cooperazione, che contrastano la stigmatizzazione populista della migrazione e delle sue conseguenze. L’opera linguistic landscapes (how do we come together in our differences?) (2023), dall’artista di origine meranese Barbara Gamper, utilizza un questionario e un workshop per aprire una discussione con gli studenti di Merano su temi quali l’appartenenza, la partecipazione, il futuro e il potere della lingua. Ne è nato un doppio banner su cui i pensieri dei giovani sono condensati in una “Word Cloud”. Sempre realizzata per questa rassegna, l’installazione dell’artista thailandese Rirkrit Tiravanija untitled 2023 (neighbours) mostra su più schermi persone di origini diverse che raccontano il loro arrivo a Merano, la loro vita attuale e i loro desideri. La piattaforma di legno su cui poggiano gli schermi fa riferimento all’esperienza migratoria dell’artista stesso: ha le dimensioni, infatti, della prima stanza in cui ha vissuto dai 19 anni, quando si è trasferito dalla Thailandia per studiare in Canada. (In apertura un’immagine tratta dal video Les Indes galantes, 2017, di Clément Cogitore).
il cortometraggio Inventur Metzstraße 11 – Inventory (1975) di Želimir Žilnik è incentrato su un gruppo di interviste: il regista serbo ha chiesto agli inquilini di un condominio di Monaco di raccontarsi. Il risultato è un ritratto toccante delle condizioni di vita dei cosiddetti “Gastarbeiter”, termine coniato nella Germania Ovest degli anni del boom economico per designare i lavoratori immigrati, provenienti soprattutto dalla Grecia, dalla Turchia e dall’Italia. Invece di continuare a distinguere tra “residenti” e “nuovi arrivati”, sembra più sensato concentrarsi sui cambiamenti nell’ambiente di vita come interesse comune. Vielheit, la molteplicità, è un concetto utile a questo scopo: racchiude un gran numero di elementi disparati, una varietà che può essere pensata insieme nonostante le differenze. La pluralità risulta particolarmente evidente in quei luoghi che danno vita alle società post-migranti. Il libro Hidden Islam (2014) dell’artista residente a Bolzano Nicolò Degiorgis propone fotografie di spazi di preghiera musulmani nel nord Italia, scattate nel corso di lunghi anni di ricerca. Parallelamente, Degiorgis ha raccolto anche testimonianze del dibattito pubblico legato a questi luoghi, spesso segnato da posizioni razziste. Ne costituisce un esempio Case Studies TV31020 (2009 – 2013), un’installazione a parete proposta in mostra che comprende fotografie, articoli e documenti.Il video The Song (2022) dell’artista cresciuta in Pakistan Bani Abidi accompagna un uomo anziano al suo arrivo a Berlino. Con strumenti improvvisati, cerca di rendere sopportabile il silenzio del suo nuovo appartamento, in ricordo del rumore di fondo a cui era abituato nel suo luogo d’origine.
L’artista nata a Parigi Nadira Husain, invece, crea dipinti che sono luoghi mentali transculturali, come An Elephant in Front of the Window, Kulfi (2022), in cui i motivi della pittura classica indiana e i pezzi della cultura fumettistica europea si combinano con questioni di queerness e di empowerment femminista. Un’altra tematica affrontata in mostra riguarda le nozioni di identità e gli stereotipi culturali. Bouquet IX (2012) dell’artista olandese Willem de Rooij è un magnifico bouquet di fiori i cui boccioli sono accomunati dal colore bianco. Tuttavia, la loro forma è molto diversa e la maggior parte di queste piante non è originaria dell’Europa. La scultura può quindi essere vista come una riflessione sulla tensione tra concetti astratti come uguaglianza e differenza e sulle connotazioni storico-sociali del colore bianco.