Chiude la 73a edizione della Mostra del Cinema di Venezia il remake di un cult della storia del cinema: I magnifici sette diretto da John Sturges nel 1960, nella versione diretta da Antoine Fuqua. Una rappresentazione più onesta del mondo multietnico del 1870 come si evince dal cast: Denzel Washington, Chris Pratt, Ethan Hawke, Vincent D’Onofrio, Lee Byung-hun, Manuel Garcia-Rulfo e Martin Sensmeier. Nelle nostre sale dal 29 settembre.
Un film contemporaneo
Era molto importante fare questo film contemporaneo, ma non lo abbiamo fatto apposta. Abbiamo preso la storia originale de I sette samurai che è di per sé una storia attuale: oggi noi parliamo di terrorismo, di gente che cerca di sopprimire i deboli, e abbiamo bisogno di persone che vengano a servire, ad aiutare. E samurai vuol dire proprio questo, significa “aiutare”. Quindi questo ideale c’è, c’è stato e non deve essere mai soppresso.
Akira Kurasawa
Quando la MGM mi ha dato la sceneggiatura, ho esitato perché adoro I sette samurai di Kurosawa. Dopo averla letta, ho pensato che la storia è uguale, il dna rimane quello: sette tizi che si uniscono per un obiettivo comune, ovvero aiutare questa gente, e alcuni di loro non ce la fanno quasi fosse una sorta di sacrificio ultimo, di redenzione, di riscatto.
La passione per il western
I sette samurai è stata un’ispirazione, ma Sergio Leone è il maestro che ha cambiato il western come lo conoscevamo negli Stati Uniti. Per noi c’era sempre il buono che portava il cappello bianco e doveva dire solo cose belle, poi con Sergio Leone il buono era il cattivo e, spesso, non aveva nemmeno un nome. Questo ha cambiato il nostro modo di concepire il western anche perché, in un modo strano, i film di Sergio Leone erano più veritieri rispetto a quello che era il West, i personaggi erano più duri, più progressisti… Per me Sergio Leone è un maestro.
Il passato è passato
Non si sa molto di questi sette uomini, esattamente come ne I sette samurai, o come nei western di Sergio Leone. In questi film era il comportamento a contare, non sapevi da dove venissero i personaggi, né se fossero buoni o cattivi, quello che contava era che erano samurai. Nel mio film è lo stesso, non sai molto di loro, però ti piacciono, sono simpatici per via del loro comportamento.
La colonna sonora di James Horner
Ha scritto sette canzoni prima di morire in base alla sceneggiatura, voleva farmi una sorpresa. Era una grandissimo, magia pura, era piccolo, tranquillo, non parlava molto, ma era uno storyteller, con lui non era mai solo una questione di musica, ma si trattava sempre della storia. Ed è per questo che era così speciale. Voleva trasmettere emozione al pubblico, ragion per cui la sua musica è così ampia perché lui voleva far capire tramite la musica cosa succedeva nel film. È stata una benedizione per me incontrarlo e lavorare con lui.
It’s just entertainment
Per me il film è puro intrattenimento. Come dice sempre Denzel, la gente porta tutto quella che appartiene alla propria vita nella sala cinematografica, quindi, se qualcuno vuole dare una lettura politica, ben venga. Ma noi facciamo il film per intrattenere il pubblico.
Lo stile
Amo i western proprio perché l’idea di un western è quello che ti indica lo stile. C’è il cielo immenso e per la maggior parte degli europei rappresenta il sogno, la gente è andata alla frontiera per realizzare questo sogno. Quindi lo stile è arrivato per questo, utilizzando obiettivi in 35 mm. e poi fino a 50 mm. Dovevamo rappresentare questo spazio sterminato e lo abbiamo volutamente mantenuto classico. L’ho girato in maniera molto simile a Training Day, ma qui non abbiamo usato trucchi, né elicotteri, niente che ti toglieva dallo stile classico del film perché se ti allontani da questo stile rischi di non capire la storia.