Nell’autobiografia Sbucciando la cipolla Grass ammette di essersi arruolato 17enne nelle Waffen SS (“Senza avere ammazzato nessuno, per fortuna”, di avere taciuto “per vergogna”) e di avere poi scelto la militanza nella Spd senza illusioni:”Sono socialdemocratico perché il socialismo non vale niente senza democrazia e perché una democrazia non sociale non è democrazia. Una frase tanto arida quanto inflessibile. Nulla per cui entusiasmarsi e lanciare in aria il berretto. Niente che ingrandisca la pupilla. Quindi conto solo i successi parziali.” Il disincanto, la provocazione, gli attacchi al moralismo ipocrita, il Nobel della letteratura del 1999 non ha e non si è mai fatto sconti. A definire la sua grandezza basta un libro. Tamburo di latta, il romanzo d’esordio del 1959, vetta mai più raggiunta. Apoteosi della fantasia dello scrittore, Tamburo di latta sprofonda fra umori grassi e orribili, spesso sarcasmo e un’acre parodia. Un liberatorio cantico laido della vitalità che non tornerà più nelle sue pagine per lasciare spazio a un (penoso) esercizio di sopravvivenza. Oskar Matzerath e il suo inseparabile tamburo, la voce potentissima che manda in frantumi i vetri e sullo sfondo la storia tedesca della prima metà del Novecento. Dal manicomio dove è rinchiuso Oskar ripercorre la propria esistenza. La fine dell’infanzia, l’inevitabile abbandono del privilegiato punto di vista di Oskar hanno comportato per Grass, a parte la felice appendice di Gatto e topo, inserito insieme ad Anni da cani nella “Trilogia di Danzica”, la scelta di guardare alla piccolo-borghesia. Niente mostri, picari, superuomini né il loro rovescio ma appunto, piccoli borghesi con un passato, quasi eroico, quasi amorale e un presente quasi per bene, certamente rispettabile e, insomma, normale. Nel Tamburo di latta la verosimiglianza, cacciata, si vendicava riaffiorando implacabile dall’opaca concretezza dei materiali linguistici , dallo loro origine documentaria: spezzoni dalle rovine del mondo. Tutte le ipotesi sono franate? Non fa nulla, basta raccogliere le macerie e tirare su un altro edificio narrativo, dare una scossa alle coscienze, sapendo di essere:”il perturbatore della quiete, uno squalo nella vasca delle sardine, un selvaggio solitario”, come lo ha battezzato Hans Magnus Enzensberger.