Nonostante una carriera puntellata di film e di successi internazionali, Jane Fonda e Robert Redford non hanno calcato spesso i tappeti rossi di Venezia. Lei ci andò per la prima volta nel 1966 come interprete del film La calda preda di Roger Vadim, lui cinque ann fa, con il suo La regola del silenzio. Nel mezzo c’è la storia del cinema degli ultimi cinquant’anni, tutti vissuti con estremo rigore e coerenza politica e poetica. Li ritroviamo insieme grazie al Leone d’Oro alla carriera che la Biennale ha loro assegnato, e ad un film, Our Souls at Night (dal romanzo di Kent Haruf e dal 29 settembre su Netflix), che ha riunito i due attori su un set trentotto anni dopo l’intramontabile A piedi nudi nel parco. Fonda e Redford appaiono raggianti alla conferenza stampa di presentazione del film, diretto da quel Ritesh Batra (Lunch Box) che a Redford e al Sundance deve l’inizio della sua carriera. Il discorso si fa subito “politico” nelle mani di due vecchi militanti impegnati da sempre a cambiare il mondo. E così si parla dell’oggi, dei problemi ambientali e dei conflitti politici di questo presente, ma anche di cinema e di come il successo del singolo trovi un senso solo nel momento in cui può avere una ricaduta più ampia. È Redford a parlarne per primo, a proposito del suo impegno a favore di un cinema che sappia ribellarsi alle convenzioni del mercato. “Il successo ti impone il dovere di restituire qualcosa, di creare delle opportunità per gli altri e di mettere in moto un meccanismo che dia voce ad altri registi”.
Più esuberante lei, più riflessivo lui, i due divi hanno in comune un’idea atipica nel gestire quel sucesso che avrebbe potuto travolgerli in gioventù e trasformarli in attori simili agli altri. Invece, nelle loro scelte artistiche, ha preso il sopravvento il senso di responsabilità sul narcisismo, la professionalità sulla semplice apparenza e il desiderio di ribadire i propri valori anche attraverso i personaggi cui hanno dato il volto. A scorrere la filmografia (e la biografia) di entrambi ci si accorge di quanto diverso sia stato il loro approccio allo Star System (complice la rivoluzione compiuta dai cineasti della cosiddetta New Hollywood), portandoli a sostenere scelte anche impopolari che hanno fatto di loro il simbolo indomito di un cinema ancora capace di veicolare opinioni e andare oltre se stesso e il proprio tempo. Insieme hanno interpretato, oltre a A piedi nudi nel parco di Gene Saks, nel 1967, La caccia di Arthur Penn nel 1966 e, soprattutto, Il cavaliere elettrico di Sydney Pollack nel 1979, quest’ultimo non a caso scelto dalla Biennale a testimoniare la loro straordinaria collaborazione. Fu Pollack a dirigere nel ’69 Jane Fonda in Non si uccidono così anche i cavalli? che le valse la prima nomination all’Oscar e sarà sempre Pollack a stabilire con Robert Redford un sodalizio durato quarant’anni e passato attraverso film imprescindibili. Si pensi a Questa ragazza è di tutti (1966), Corvo rosso non avrai il mio scalpo (1972), I tre giorni del condor (1975), per non parlare del Sundance Film Festival, fondato insieme nel 1990. Questo premio ci parla di tutto questo e di molto altro, e ci mette voglia di rivedere quei film che tante volte ci hanno incantati.