Voyagers

Monsters 2021 – Alla scoperta di Santiago Menghini

Intruders (2014)

Al cineasta (e anche sceneggiatore, produttore, autore di effetti speciali) canadese Santiago Menghini la terza edizione di Monsters – Taranto Horror Film Festival dedica una personale completa composta dai sette cortometraggi realizzati dal giovane regista tra il 2009 e il 2020. Brevi film che già definiscono un talento in attesa di esordire nel lungometraggio. Incursioni nell’horror, ma non solo. Nel segno di una poetica “vintage” che si riappropria della densità e fisicità del cinema horror degli anni Ottanta e dintorni, viscerale, mutante, esplosivo o allusivo, fecondo di invenzioni che Menghini, di cui si è certamente nutrito, non copia ma rielabora con sguardo personale creando, film dopo film, un percorso riconoscibile tanto nella forma quanto negli argomenti trattati. Ohm, sua opera d’esordio del 2009, è un debutto folgorante e finora il suo gioiello. Girato in 16mm e in 4:3. Sette minuti per sprofondare nel delirio di un uomo di cui non sappiamo nulla, che non ha un nome, rinchiuso in una stanza (ambientazione ricorrente in Menghini) piena di oggetti elettronici con i quali l’unico personaggio del film interagisce in un crescendo di piacere masochista, di sfida e resistenza psico-fisica alle scariche elettriche che egli stesso cerca toccando con le mani oggetti che gli provocano danni sia al corpo sia alla mente tra risate convulse e lampi di visioni. Senza dialoghi, con immagini sgranate e carnali (altro segno distintivo del cinema di Menghini), Ohm è un film claustrofobico, sperimentale (e la sperimentazione è presente in ogni lavoro del regista), tra il mito di Frankenstein (l’attore Nicholas B. York nello stesso anno recitò nel film collettivo canadese Frankenstein Unlimited nel segmento intitolato Victor…), il Cronenberg di Scanners e Videodrome, lo Tsukamoto delle interferenze cyborg.

 

Ohm (2009)

 

Ma Menghini è autore che appunto sperimenta e depista e così nel 2012 firma Glimpscapes, titolo che unisce due parole e potremmo tradurre “barlumi di vedute” a costituire un mosaico visivo e sonoro di tempo e spazio frammentati, tecnologici/analogici, evocanti mondi di fantascienza da immaginare o detriti di suoi passati/memorie. Anche qui senza ricorrere a dialoghi e utilizzando l’animazione per creare galassie di mondi, punti e magmi luminosi, mentre scorrono immagini di varia provenienza nel di-segno di schegge di terra, acqua, natura, fuochi d’artificio che tutto inghiottono. Questi echi di fantascienza si ritrovano in Voyagers (2015) in cui Menghini descrive la conquista americana dello spazio, e più in generale la nascita e lo sviluppo dell’umanità, attraverso la sua visione sperimentale in un film-saggio che, nato come tributo alle imprese spaziali della Nasa ricorrendo a materiali d’archivio, trasforma la scienza in fantascienza. Un film-costellazione che re-inventa, essendo a esse fedele, tappe fondamentali della Storia dove, ancora una volta, Menghini crea interferenze tra suono e immagine, vero e proprio segno teorico per la sua riflessione su immagini e contaminazioni.

 

 

Isolando l’altro testo “a parte” rappresentato da Red Wine (2019), commedia nera girata in una sala dove è in corso una cena di beneficenza che rivelerà un finale beffardo e di evidente critica sociale a un modo di intendere l’altruismo e il politicamente corretto, i restanti film di Menghini sono puri viaggi nell’horror, brevi nella durata ma densi nella sostanza. Ancora senza dialoghi è Intruders (2014), tre capitoli in forma di appunti per possibili storie da sviluppare. Una casa, un bambino, una donna morta. Un ragazzo solo in un appartamento che spia con un cannocchiale le finestre di fronte incappando in una donna posseduta che lo muterà a sua volta in creatura mostruosa. Un ispettore che s’introduce scattando fotografie nella casa del primo episodio dove il bambino è diventato una presenza inquietante. Menghini suggerisce e non spiega, gli interessano la messa in scena, gli oggetti, le ricognizioni degli spazi, i dettagli, creare come altrove una suspense visiva e sonora. Accade anche in Milk (2018) e Regret (2020), che possono funzionare come un dittico, il secondo la “prosecuzione” del primo. In entrambi, il set è uno spazio chiuso (una casa in Milk, un hotel in Regret) e il tempo quello di una notte. Se in Milk il protagonista è un bambino che si confronta con la madre che non vuole accettare la sua crescita e il conseguente distacco da lei, in Regret c’è un uomo (che ci piace immaginare come il bambino di Milk ora adulto) cui è morto il padre che però gli si ripresenta in forma di mostro per una sorta di regolamento di conti. Siamo di fronte a un’altra difficoltà nell’accettare una separazione in quello che è un ulteriore rito di passaggio doloroso che porta con sé cose non chiarite nel passato. Menghini lavora sul buio, sul nero, lasciando i suoi personaggi in un vortice di oscurità, quello che domina la casa di Milk e quello che dall’hotel si estende nell’esterno notturno fra grattacieli enormi e minacciosi che facevano già da preludio nelle prime, geometriche, perfette inquadrature di Regret.

 

Red Wine (2019)

 

 

La terza edizione di Monsters Taranto Horror Film Festival si tiene eccezionalmente online dal 19 al 21 marzo sul sito www.monsterstarantohorror.stream, dove è possibile vedere gratuitamente tutti e 22 i film in programma e seguire gli incontri con alcuni dei protagonisti della scena horror contemporanea. Link: https://www.monsterstarantohorror.stream/film/lua-vermella-red-moon-tide/