Valerio Binasco, attore e regista con all’attivo oltre trenta spettacoli, nel 2012 ha fondato la Popular Shakespeare Kompany con un progetto ambizioso: «Fare un teatro che si rivolga direttamente alla gente». Un teatro popolare che diverta e tenga viva «la gioia creativa in questa epoca di tenebra». Scegliendo testi della tradizione perché «i classici sono carichi di una energia inesauribile, e non sono mai tristi, anche quando sono tragici». E come se non bastasse «senza sprecare denaro pubblico», quindi a basso budget, nonostante il forte impatto visivo. I virgolettati sono tratti da una lettera inviata ad alcuni direttori di teatro all’epoca della nascita della compagnia, ma continuano a essere i tratti salienti del modo di fare teatro della PSK e anche il risultato non è cambiato: i grandi teatri che ospitano i suoi spettacoli sono sempre esauriti. Dopo La tempesta e Il mercante di Venezia di Shakespeare, è la volta de Il bugiardo di Carlo Goldoni, prodotto dalla PSK insieme con la Fondazione Teatro Due di Parma, una realtà abbastanza anomala nel panorama teatrale italiano perché non solo interviene finanziariamente, ma è interlocutore a livello progettuale. Fino al 13 marzo lo spettacolo è in scena al teatro Elfo Puccini di Milano. Abbiamo incontrato Valerio Binasco.
È la prima volta che ti cimenti con Goldoni?
Sì, non so dire le ragioni della mia scelta perché non sempre sono fondate su temi culturali o narrativi. Da tempo avevo voglia di commedia, di Italia e di Goldoni. Avevo un ricordo straordinario dell’inizio de Il bugiardo che si apre con una serenata sotto un balconcino. Questa immagine mi ha talmente intenerito che mi ha fatto tornare in mente un’Italia di cui ho una strana nostalgia, quella della provincia, dei bar. È una nostalgia totalmente immaginaria perché io non l’ho vissuta. Il balconcino con la serenata, i ragazzini alla finestra, la luce che si intravede, mi hanno provocato un’ondata di tenerezza che ha colorato tutto il testo mentre lo leggevo. Alla fine questa storia delicatissima di provincia ha prevalso su tutto.
Come al solito attualizzi il testo, a partire dai costumi. I personaggi non appaiono infatti in abiti settecenteschi, ma sembrano usciti dagli anni 50-60.
Gli spettacoli in costume non mi piacciono, mi distraggono. Penso che un testo classico non abbia bisogno di una giustificazione storica. Effettivamente l’ambientazione non è l’epoca moderna, ma direi un vintage alla Kaurismäki – regista che peraltro adoro – senza andare nel dettaglio di un preciso periodo. La domanda che mi sono fatto è se Goldoni avrebbe resistito fuori dalle parrucche e dai tricorni. E la risposta è che regge benissimo, a patto che la recitazione non cancelli il piacere della commedia, da questo punto di vista si tratta dell’adattamento di un modello espressivo che lo stesso Goldoni amava. Siamo comunque partiti da un lavoro di conoscenza delle maschere tradizionali che sono rimaste nei personaggi.
Nel Bugiardo si parla di realtà, di finzione, di rappresentazione. Si può dire che si tratti di un testo metateatrale?
Intanto va detto che ci sono due tipi di bugie. Una, vile, è quella che nasconde la verità per bieco interesse, quella di chi mente per salvarsi dalla realtà, per fuggire a qualche cosa. L’altra è, invece, la bugia di chi se la inventa ed è di tipo affabulatorio. È una bugia che personalmente perdono molto volentieri perché migliora la realtà, è istrionica e patologica. Sicuramente c’è il teatro nel teatro, ma non tanto dal punto di vista della messinscena, quanto piuttosto riferito al bisogno di credere. Tutti quelli che ascoltano questo bugiardo credono di meritarsi quello che lui racconta (i genitori, le ragazze innamorate…). Se c’è una poesia è proprio nel bisogno di credere che hanno le vittime. Sicuramente, e lo trovo struggente, l’attenzione è più sulle vittime che sul carnefice.
Tu appartieni alla categoria dei registi-attori (anche se in questo caso non sei in scena). Come lavori con gli attori?
Pensando che sono l’unica cosa davvero importante. Come regista fornisco una storia da raccontare, ma sta alla loro fantasia e al loro desiderio dare vita e forma ai personaggi. Sono pronto a fare mille passi indietro se una mia idea non trova terreno fertile. Gli attori sono il centro totale e come regista sono molto attento e caloroso. Poi sono anche estremamente esigente. Ma voglio che si convincano che la loro performance è ciò che più conta, talvolta è anche più importante del testo. Non amo gli attori narcisi, ma quelli responsabili, che non si tirano indietro e non hanno paura di giocare. Forse deriva dalla mia formazione che è sotto il segno degli attori-registi (Carlo Cecchi, Franco Branciaroli).
Le luci dello spettacolo sono di Pasquale Mari, grande direttore della fotografia anche al cinema.
Ho un gruppo di straordinari collaboratori che girano intorno ai miei spettacoli, una sorta di famiglia teatrale. Arturo Annecchino per le musiche, Carlo de Marino per le scene e i costumi (fa un lavoro egregio, riciclando pezzi da altri spettacoli, con umiltà e fantasia perché noi facciamo degli spettacoli spendendo poco) e naturalmente Pasquale Mari, grandissimo e irrinunciabile, senza di lui i miei spettacoli non avrebbero luce.
Sei attivo anche al cinema dove hai lavorato con Martone, Özpetek, Cupellini, la Marazzi…
In realtà ci lavoro poco, ma devo dire che la mia fantasia è cinematografica. In fase di ideazione non mi rapporto al teatro, ma al cinema. Penso i miei spettacoli come un film e infatti durante le prove parlo di dolly, di inquadrature….
Allora sei pronto per passare dietro la macchina da presa…
Mi piacerebbe moltissimo. Ma diciamo che ho un’età per cui la mia opera prima deve anche essere necessaria. Avrei molta voglia e mi sento abbastanza pronto, ma non ho ancora trovato il progetto giusto. Diciamo che mi manca la fascinazione per l’ambiente del cinema. In realtà dieci anni fa ho fatto un film che non è mai uscito, ma che si può vedere su YouTube. Si intitola Keawe ed è tratto da un racconto di Stevenson, Il diavolo nella bottiglia.
A cosa stai lavorando in questo momento?
Sto facendo un anticipo di prove a Genova di uno spettacolo che debutterà in autunno. Si tratta di The Kitchen dell’inglese Arnold Wesker.
Tournée Il bugiardo
Milano fino al 13 marzo Teatro Elfo Puccini
Rovereto 15 marzo Teatro Comunale Zandonai
Prato 17-20 marzo Teatro Metastasio
Casale Monferrato 22-23 marzo Teatro Municipale
Torino 29 marzo-10 aprile Teatro Carignano
Locarno 11-12 aprile Teatro di Locarno
Chiasso 13 aprile Cinema Teatro Chiasso
Genova 14-16 aprile Teatro Politeama
Casalmaggiore 17 aprile Teatro Comunale
www.valeriobinasco.com