Alla fine della giovinezza: Altrove di Vittorio Rifranti

C’è un qui e c’è un Altrove, come sempre nei film di Vittorio Rifranti. L’intensità del cinema di questo sensibile autore del cinema italiano parallelo è sempre costruita su storie che sdoppiano i livelli dell’azione, trovate nei percorsi e nei destini di personaggi che scorrono contigui ma su piani differenti, osservandosi da “luoghi” separati e toccandosi in uno spazio intermedio, che è poi lo spazio della coscienza. Altrove, per esempio, il nuovo film di Rifranti: racchiuso tra le parentesi di un viaggio andata/ritorno in treno, installa i suoi quattro giovanissimi protagonisti in una vacanza studio al mare, in una località balneare della riviera ligure che, nel clima svanito di fine stagione, si offre come uno spazio neutrale, vagamente astratto. È da qui che poi emerge il quinto protagonista della storia, Simone, un ragazzo del posto che serve svogliatamente ai tavoli del ristorante del patrigno e finisce con l’unirsi alle serate dei quattro universitari. In realtà c’è anche un sesto protagonista, Stefano, invisibile e silenzioso, ma probabilmente il più importante: è lui il mittente e il destinatario di tutto quello che accadrà. Gravemente malato, è restato a casa, ma ha consegnato ai quattro ragazzi la sua vecchia telecamera per registrare i momenti di quella loro vacanza e inviarglieli come un diario destinato a colmare la sua assenza. Si direbbe quasi che sia lui il vero motivo per cui questi quattro ragazzi si ritrovano lì, tutti insieme a condividere una vacanza che ha il sapore di un malinconico addio, di un fuori tempo della loro giovinezza a termine.

È in questa distanza che separa Stefano dalla scena in cui l’azione si svolge – in questo Altrove, per l’appunto – che Vittorio Rifranti trova il piano di slittamento tra il mondo reale e la realtà del mondo, tra ciò che accade, i fatti, e il loro senso, il valore che acquistano nella relazione con la vita delle persone coinvolte. Il film elabora proprio questa separazione, mettendo i quattro ragazzi di fronte a un drammatico evento, accennato sin dall’incipit, che li coinvolge e che ruota attorno alla vita di Simone. La sua infelicità da adolescente di provincia, irrealizzato e senza prospettive, è infatti posta a confronto con la dimensione un po’ algida dei quattro studenti arrivati da fuori, con le loro vite piene di futuro e la loro amicizia studentesca, fatta di legami labili, di attese distanti, di innocente arroganza… Dal lato opposto c’è Stefano, per il quale il tempo invece sta finendo, osservatore implicito e spettatore in fabula anche se assente: principio morale di una responsabilità destinata a giudicare l’accaduto o forse no, chiuso nel suo silenzio astratto e inconoscibile, senza scampo e forse senza pietà. In mezzo a tutto questo si trova Simone, per il quale invece il tempo non è mai iniziato e probabilmente mai inizierà, stretto nella sua provincia che non ha prospettive, eppure intriso di sentimenti che, seppur contrastanti e anche oscuri, almeno fanno di lui una persona che abita una vita, calandolo in un’esistenza che invece ai quattro studenti sembra non appartenere (ancora).

Rifranti, come sempre, lascia crescere la sostanza morale dei suoi personaggi, inchiodandoli alla loro raggelata identità, ma sospingendoli al contempo verso un destino ineluttabile, che ha per obiettivo il superamento doloroso e magari anche drammatico di quella insensibilità di cui sono intrisi. Il dolore è sempre, per i suoi personaggi, la conquista di una sensibilità fatta di sofferenza fisica e morale, dalla quale però possono infine ripartire per costruire uno spazio identitario congruo e completo. La mancanza d’amore che segna i cinque ragazzi protagonisti di Altrove è il marchio trasparente che li identifica: il loro essere testimoni al servizio dello sguardo esterno di Stefano sembra quasi alleggerirli del peso di una responsabilità, rendendoli gratuiti, inconsapevoli, indefiniti. Il film sta tutto in questa funzionalità astratta che caratterizza i protagonisti, cui si contrappone la disposizione grave, pesante, intransigente dell’autore: Rifranti fa un cinema rigoroso, in cui non c’è spazio per le linee di fuga, tutto è funzionale alla definizione (a volte sin troppo squadrata, ai limiti del didascalico) delle azioni, delle psicologie e dei sentimenti. La drammaturgia è piena e dialoga con la trasparenza delle coordinate espressive, cercando una via di mezzo in cui collocare il non detto, l’indefinito, l’imprevedibile incombenza della vita. Rifranti (che nel 2007 aveva vinto a Locarno la sezione Cineasti del Presente con Tagliare le parti in grigio) insiste su una disposizione rigorosa, intransitiva e poco à la page del suo cinema, che (ri)chiede attenzione e meriterebbe lo spazio per svilupparsi e liberarsi.