
Deepwater – Inferno sull’Oceano, diretto dal non irresistibile Peter Berg, apre forse una nuova frontiera nel cinema di genere. Il film, ispirato non da un romanzo o da un racconto, bensì da un articolo di cronaca pubblicato nel 2010 sul New York Times – che riportava la notizia della fuoriuscita di petrolio in una piattaforma al largo della Louisiana, la quale provocò 11 morti, parecchi feriti e un versamento di immani proporzioni nel Golfo del Messico – è di esemplare asciuttezza. Si concentra sulla giornata in cui si scatena l’inferno, guardando alle reazioni fisiche e istintive di alcuni lavoratori dell’impianto; e i minimi segnali preventivi di ciò che accadrà sembrano piuttosto un sobrio omaggio ai precedenti cinematografici, che non una strategia narrativa. Di certo Deepwater – che presenta Mark Wahlberg e Kate Hudson in palla e, soprattutto, Kurt Russel e John Malkovich convincentemente in parte – riesce a raccontare con efficacia le ore più difficili di un manipolo di lavoratori costretti al quotidiano eroismo per far fronte a situazioni costantemente al limite. E che nel momento della prova più ardua danno il meglio di sè. Peter Berg (The Kingdom, Hancock, Battleship) è meno fluviale e più essenziale del consueto: lavora per sottrazione, centellinando gli individui a cui assegnare il ruolo di personaggi (tre “buoni”e un “cattivo”, a conti fatti). Si limita, il regista-attore di New York, a raccontare quelli necessari per sostenere un discorso che valga in termini universali, comunque sufficienti per consentirgli di confrontare da vicino due facce della medaglia: chi le responsabilità se le prende e chi invece pensa di farla franca optando sempre per le scorciatoie; che nel mondo reale, purtroppo, pagano spesso. Il film non ha nulla di memorabile, ma nemmeno alcunché di sbagliato; e sotto il profilo del ritmo e della spettacolarità (verosimile, sia pure zavorrata da una fotografia consapevolmente livida), perfino qualcosa in più della media. In tempi di reiterate iperboli e muscolarità senza limiti che mascherano carenze di creatività, è liberatorio imbattersi in cinema d’azione in cui si faccia apprezzare, prima di tutto, la misura.