Il gesto inatteso nel balenare di un impeto in La bambina segreta, di Ali Asgari

Il punto di osservazione è sempre quello privato, in una reiterazione di temi e di prospettive di racconto che rendono immediatamente riconoscibile il cinema iraniano in grado, nonostante la già prospettata apparente ripetitività di temi, di sapere scavare nella vita intima dei suoi personaggi con le storie raccontate. Un canone narrativo che resta immutabile nel tempo passando su ogni sconvolgimento teorico del narrare del nuovo millennio e su ogni vera o presunta modernità dello spettacolo cinema. Anche La bambina segreta, già in cartellone alla Berlinale 2024 nella sezione Panorama, non si sottrae a queste caratteristiche. L’impianto del film si regge sul rispetto di un preciso statuto del racconto in stile iraniano, su quello di una insistita circolarità narrativa, con la protagonista che esce di casa quasi all’inizio del film e ci fa ritorno a sera, nel rispetto della natura peregrinante della narrazione con quelle atmosfere che ci introducono ad una specie di thriller senza assassinio, con la ricerca frenetica di una soluzione per fare fronte ad una improvvisa emergenza. Sullo sfondo di questa ampio scenario, tutto ridotto dentro una visione umanistica della storia e quindi con i dettagli di una quotidianità consueta e perfino trascurabile, c’è la condizione politica iraniana, quella delle donne in special modo, con le leggi, le regole ormai inadeguate nel muoversi di una modernità già attuale, già conquista del presente.

 

 

È fatto di questa pasta ricca di temi La bambina segreta nel quale Fereshteh, la protagonista, vive da sola a Teheran con la figlia di due mesi avuta da un uomo che ora se ne disinteressa del tutto. Fereshteh riceve una telefonata dai suoi genitori che annuncia il loro arrivo in serata per una notte. Lei ha tenuto nascosta la nascita della bambina e per questo deve affidarla a qualcuno e liberarsi degli oggetti che potrebbero insospettire i genitori. Aiutata dall’amica Atefeh, Fereshteh sarà protagonista di una lunga odissea nel tentativo di sistemare al sicuro la figlia, ma la soluzione finale sarà quella migliore in una prospettiva di emancipazione con conseguenti rotture di vecchie regole e vecchi codici di comportamento.È nella cadenza di un cinema estremamente semplice nella sua fattura, in quel neo-neo realismo al quale da anni attinge quella cinematografia che si sviluppa il dramma silenzioso di Fereshteh, che alla fine fa emergere il suo coraggio contro ogni legge scritta o non scritta di asservimento femminile. E su questa traccia il film è costellato di episodi nei quali il tema dei diritti della donna appaiono compromessi dai comportamenti maschili, dalle avances dell’integerrimo medico dell’ospedale, alla mala grazia del padre della neonata che rifiuta di assumersi le responsabilità che invece gli appartengono. La bambina segreta si fa dunque ennesimo film portavoce di un disagio che resta drammaticamente appannaggio delle donne, ma è anche quello stesso disagio che ha tenuto in galera Panahi e molti altri intellettuali iraniani oppositori al regime teocratico e restrittivo delle libertà individuali.

 

 

È dunque questo il valore politico del film, che si radica nella capacità di avere saputo trarre da una storia così semplice, e perfino banale se si vuole, un racconto che diventa di ampio respiro, amplificando il punto di fuga della narrazione in un cono (d’ombra?) grande quanto tutto il Paese. Ali Asgari chiama in causa quella politica, reagisce compostamente, ma con una decisione pari a quella del suo personaggio – una bravissima Sadaf Asgari, nipote dello stesso regista – che attraversa il film senza scoraggiarsi, ma consapevole della sua condizione. Una condizione che si scioglie in quel pianto finale nel taxi che dovrebbe riportarla a casa dopo avere messo la figlia al sicuro, un pianto nel quale Asgari sembra raccontare il cinema dei suoi predecessori e ricordare quel capolavoro irripetibile di Abbas Kiarostami che è stato Shirin (2008) nel quale il grande regista iraniano ribaltava l’emozione del cinema negli occhi delle sue spettatrici, in una indagine da brividi sul concetto di condivisione e di emozione per le immagini. Un atto d’amore, uguale e speculare a quello di Fereshteh che invece ribalterà la sua vita con un gesto inatteso come il balenare di un impeto.