La ribellione del pensiero: Puan – Il Professore di María Alché e Benjamín Naishtat

Superata la coltre di riflessione sociologica, Puan – Il professore, questo film argentino, sull’Argentina, realizzato da María Alché e Benjamín Naishtat, è un film sui modi del nostro mondo e sulle possibili strade alternative da percorrere per evitare di trovarsi dove non si vuole. A partire dal titolo originale che richiama il nome di una località situata nell’entroterra di Buenos Aires ma, in particolare, nome che si riferisce a quello della strada in cui si trova la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Buenos Aires dove si svolge la vicenda, infatti, è possibile concentrare le attenzioni sul professore di filosofia che risponde a modo suo, con la sua voce, al cinismo dei tempi. Una sorta di eroe-antieroe chapliniano ma anche alleniano, che traduce col suo sguardo fragile un malessere universale sintomo dell’inadeguatezza dell’uomo contemporaneo schiacciato dalla spietatezza dei tempi. Simbolo di resistenza e tenacia che si fonda sulla vitalità di un sapere antico, Marcelo (interpretato da Marcelo Pena) mette in pratica un metodo di ricerca della verità che gli permette di resistere agli attacchi del collega arrivista Rafael Sujarchuk (Leonardo Sbaraglia), professore che mira a sostituirlo sulla sua stessa cattedra sommando scorrettezze e sostenuto da riflesso mediatico. Puan diventa quindi film che evoca la condizione, non più soltanto un edificio, di migliaia di persone di tutte le età che si recano nelle aule dell’università per trovare risposte allo smarrimento che ieri come oggi contraddistingue coloro che non rimangono indifferenti e si pongono interrogativi esistenziali per affrontare insicurezze e dubbi, non solo filosofici.

 

 
Contro ogni logica del consumo improntata su autoreferenzialità e opportunismo (impersonati proprio dal personaggio di Rafael), il film di Alché (che già nel precedente Familia sumergida aveva esplorato l’importanza della memoria e il valore della messa in discussione della propria immagine) e Naishtat abbraccia la dimensione politica permeando ciascuna questione lavorativa in campo: dal confronto-scontro con gli ideali, alla materialità di stipendi che non arrivano, fino al dramma di chi non ha le possibilità per arrivare a fine mese con le proprie tasche. Marcelo è un personaggio che omaggia la commedia all’italiana: in bilico tra dramma e grottesco, maschera ironica e malinconica, debole e insicuro, orfano di riferimenti ma anche, lui stesso, icona di resistenza e partecipazione sorprende per la forza di ricominciare e mettere in discussione la propria identità intellettuale. Come dichiarato dalla coppia in regia che non rinuncia a un taglio volutamente ambiguo: «Ci interessava la sfida di combinare il mondo solenne dell’università e della filosofia con un personaggio eccentrico e un po’ goffo che si sente un pesce fuor d’acqua nella sua realtà attuale. Crediamo che questo dia al film un punto di vista singolare. Riteniamo che la comicità non sia forzata in Puan, ma emerga naturalmente dal contrasto tra il solenne e il “sacro” e gli aspetti più mondani della vita quotidiana.

 

 
Scriviamo e filmiamo cercando la risata, ma lo facciamo in modo serio. Vediamo questo film come un’esperienza complessa e dinamica in cui il pubblico partecipa a una sorta di ilarità chapliniana e, allo stesso tempo, si pone domande sull’identità, l’esistenza, il futuro. In Puan i personaggi affrontano una realtà incerta in cui nulla è più come prima. Marcelo deve ricrearsi, abbandonare strutture e credenze obsolete e, allo stesso tempo, tornare (culturalmente) a un’origine comune, a un punto di partenza». È un film-mondo nel senso che invita a pensare, di per se già questa è un’azione tesa a rinascere, un film teso verso un cambiamento di prospettiva, di osservazione sulle cose e su di sé, come succede a Marcelo che si convince (è consapevole di non sapere, quindi è un vero filosofo che non smette mai di imparare, di lasciarsi raggiungere dalla realtà per farsi contaminare dall’interrogativo esistenziale: non essendo oggetti, siamo sempre “in conoscenza”) che è possibile mettere in gioco la propria conoscenza del mondo e diventare utili agli altri e scoprire di essere diversi. Anche di essere parte di una comunità pensante.