L’età della parola, quella che rompe il silenzio magico dell’infanzia, che si allontana dall’infante, da colui che non parla, che não fala per dirla in lusitano. In un cinema liminare come quello portoghese, questa è un’età che traccia il perimetro di una consapevolezza fragile, astratta, pulsionale. Il perimetro di un’isola, come quella dove Alexander David piazza i giovani protagonisti di questo suo flagrante film d’esordio, A primeira idade, presentato a Rotterdam 2023 in Bright Future: un clan silente di ragazzini, che non usa la parola, non conosce adulti, si tiene da sé in un regime selvatico guidato dai più grandi. La loro occupazione principale è allenarsi e soprattutto imparare a lanciarsi nel vuoto senza timore, perché uno di loro è destinato a tuffarsi da una rupe per preservare all’infinito l’incantesimo di quel mondo. C’è una magia logica a tenere le fila di questo film, Alexander David costruisce un universo fiabesco coerente e concreto pur nella sua pura astrazione: il narratore invisibile (al quale è lui stesso a dare voce) è una bestia oscura che vive nella foresta e veglia sui ragazzi incutendo paura.
Appare qua e là, sussurra una ratio magica, conclusa nella sfera di quell’isola di ragazzi selvaggi, che seguono una disciplina interna, dai ritmi contadini e tribali, dove si cresce e ci si riproduce in un ciclo vitale al termine del quale si viene espulsi. Il gioco e il lavoro si esprimono nel film con la medesima dimensione scenica, articolata nei costumi, nei gesti, nelle situazioni sovrapposte. La ritualità pagana dei ragazzini dialoga con quella ludica, offrendo una visione logica in cui la natura, con le sue regole, è una proiezione realistica di un rapporto paritetico tra questi bambini selvatici e la società arcaica di cui sono espressione. A primeira idade è una fiaba gotica ampiamente metaforica e lirica, in cui il mito dell’infante selvaggio si traduce nel timore attonito nei confronti dell’età adulta, nell’angoscia della separazione. Il film è dotato di una potenza poetica molto netta, evocativa, oscura, che non si concede mai derive astratte, anzi definisce molto bene i confini tra la metafora e la realtà di cui è espressione. Per certi aspetti, viene in mente un altro esordio portoghese, A cara que merece di Miguel Gomes, dove però era il mondo degli adulti a gestire la realtà come se fosse l’incantesimo di una infanzia perenne e reiterata all’infinito.