Maggio 2015: a Roma, su un muro affacciato in Piazza di San Calisto appare un manifesto dello street artist francese Ernest Pignon-Ernest, un ritratto doppio in forma di Pietà in cui Pasolini vivo, con lo sguardo serio come di uno che non fa sconti rivolto verso lo spettatore, tiene tra le braccia Pasolini morto: un atto di accusa verso i suoi uccisori (quelli mai condannati) o un’affermazione di consapevolezza della sua funzione e del pericolo ad essa connesso? una posa di pietosa autocontemplazione o una disperata richiesta di pietà?
Spostiamoci indietro nel tempo di una sessantina d’anni e a sud ovest di un paio di chilometri, oltrepassando il Tevere.
Maggio 1953: Piazza di Spagna, durante un comizio del Movimento Sociale Italiano. Una folla si agita scomposta, sprigionando un’energia che è «debolezza, offesa / sessuale, che non ha altra via / per essere passione, nella mente accesa, / che azioni troppo lecite od illecite», una folla che «urla soltanto la borghese / impotenza a trascendere la specie, / la confusione della fede che / l’esalta, e disperatamente cresce / nell’uomo che non sa che luce ha in sé». Camminando muto tra quei clamori («o forse sono muti / essi, nella tempesta che ho nel cuore»), Pasolini avverte posarsi su di sé uno sguardo ardente e pudico che ben conosce, uno «sguardo fraterno così profondamente familiare nel pensiero che dà a questi atti senso eterno», lo sguardo sorridente di un «compagno», che ha «dolorosa e accesa, / nel volto, la luce con cui vide, / oscuro partigiano, non ventenne / ancora, come era da decidere / con vera dignità, con furia indenne / d’odio, la nuova nostra storia» (la storia di ogni essere umano e la storia del popolo italiano). Nella ricerca del fraterno, del simile (o dell’ugualmente diverso), tutta compiuta nei terreni impervi del pudore, la familiarità induce alla familiarità, il dolore chiama la fratellanza, la luce (della coscienza e della bellezza) tende ad accrescersi, la vista a stimolare altre viste. Si accende così una visione, la visione del Fratello, che è una visione di Pietà: «Pietà egli chiede, con quel suo modesto, / tremendo sguardo… non pel suo destino / ma per il nostro…».
Tutto questo Pasolini racconta nel poemetto Notte in Piazza di Spagna, pubblicato sulla rivista «Botteghe Oscure» nel settembre del 1954 e poi, con il titolo Comizio, nella raccolta Le ceneri di Gramsci nel 1957.
Se la Pietà è uno stato d’animo così intenso e complesso da non poter essere visto/mostrato altrimenti che per folgorazione, per accensione dello spirito, la visione del Fratello si presenta come un intarsio misterioso di immagini d’amore: egli è allo stesso tempo incarnazione della compassione (del dolore), della comprensione (del senso), della condivisione (del desiderio), in una parola del rispetto (il senso etimologico di pietà, dal latino pietas), inteso come capacità di guardare e allo stesso tempo di prendersi cura di ciò che si guarda. Dunque Pietà è perdersi nell’altro dopo averlo contemplato, comprenderlo dopo averne accettata l’alterità. Pietà, parafrasando la Cognizione del dolore (1963) di Carlo Emilio Gadda, è uno «smarrimento dell’anima», «è dimenticare, è risolversi… rifiutare le sclerotiche figurazioni della dialettica, le cose vedute secondo forza»: è oblio momentaneo di se stessi, rifiuto della «forza sistematrice del carattere», è concentrazione sull’Altro, che è come un «fiume profondo, che precipita a una lontana sorgiva, ripullula nel mattino di verità», imponendo autenticità e rinnovamento.
Dice Cristo prossimo alla morte nel Vangelo secondo Matteo (1964): «Voi udrete con le orecchie ma non intenderete, e vedrete con gli occhi ma non comprenderete, poiché il cuore di questo popolo si è fatto insensibile: hanno indurito le orecchie e hanno chiuso gli occhi per non vedere con gli occhi e non sentire con le orecchie». Il Fratello pietoso e allo stesso tempo invocante pietà di Pasolini finisce per assumere su di sé alternativamente i tratti del Visitatore (Cristo nel Vangelo, l’Ospite in Teorema [1968]) o dell’Umile visitato (il povero Matteo nel Vangelo, la serva Emilia in Teorema, l’ingenuo Riccetto nella Sequenza del fiore di carta [1968]). Il Visitatore, figura lontana dall’idea teologica della divinità, è colui che in un solo moto di pietà vede l’intero genere umano e amandolo lo restituisce alla verità della sua natura (restituendogli la vista e l’udito); l’Umile visitato è colui che si fa depositario di quella visione e, invece di trasformarla in dramma della coscienza e rifiuto del mondo (come accade ai familiari borghesi di Teorema: il Padre e la Madre, reagendo al martirio della carne reificata, ritrovano una fede ascetica, il Figlio si rifugia nell’arte, la Figlia nell’autismo), attinge, attraverso il suo «essere pura natura», a una innocenza e a una forza primitive (i miracoli di Emilia, l’euforia di Riccetto).
Nel Vangelo e in Teorema, depositaria della visione/veridizione innescata dalla Visita pietosa è una figura femminile in entrambi i casi interpretata dalla madre del regista, sulle note di due strazianti musiche di Mozart (il Requiem e la Musica funebre massonica): nel primo caso Maria, madre di Cristo e dell’umanità che egli riscatta con la sua Visita (d’altra parte anche Maria è stata visitata), nel secondo caso una contadina testimone dei miracoli di Emilia e sua aiutante. Perché è lei, la Madre (invocata in Supplica a mia madre, da Poesia in forma di rosa [1964]), il principio di ogni pietà, la fonte di ogni visione («Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore, / ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore»), la ragione che dà coscienza della propria finitezza e della propria alterità («È difficile dire con parole di figlio / ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio»), «l’unico modo per sentire la vita», ma anche la gabbia di una «schiavitù» fatta di un «senso alto, irrimediabile» e di un «impegno immenso». Una gabbia di cui il figlio si libera solo facendo sacrificio (estetico) di sé: la morte di Cristo è anche quella di chi ha appreso, oltre alla Pietà per gli altri, anche la Pietà per se stesso, col suo insostenibile carico di amore, conoscenza e bellezza.