Julia (l’esordiente Julie Ledru, indomita smisurata presenza), vive di espedienti ed è abituata a prendersi ciò che vuole: le moto postate su Facebook da persone che vogliono venderle, la benzina quando rimane a secco… Abbandonata a sé stessa (la madre ha cambiato la serratura per non farla entrare in casa e, a detta del fratello, se la trova in casa, la denuncia), segue la sua passione per le moto da cross e i “rodei” urbani, gare in cui i motociclisti si esibiscono su moto e quad in prodezze acrobatiche, riuscendo a inserirsi nel gruppo di pirati dell’asfalto che ha il suo quartier generale nel garage di Domino (Sébastien Schroeder), che dal carcere dirige tutti i traffici. Lei si fa chiamare l’Inconnue, la sconosciuta, e punta a imporsi in un ambiente esclusivamente maschile dove nonostante la sua astuzia nel rubare le moto non è ben vista, viene osteggiata e malmenata, proprio perché donna che rompe gli schemi. Otterrà il rispetto del capo, stringerà amicizia con Kaïs (Yannis Lafki), che si innamora di lei, e con Ophélie (Antonia Buresi) che vive con il figlioletto Kylian (Cody Schroeder) in una sorta di detenzione domiciliare per volontà del marito. Ophélie rappresenta la donna che ubbidisce (come la Ofelia di shakesperiana memoria), sa stare al suo posto, interpreta un ruolo ben definito, la moglie del capo a cui si è devoti (gli scagnozzi del marito le portano la spesa a casa), ma non è libera di fare nulla. Anzi viene appositamente lasciata senza un centesimo per paura che possa fuggire: un’unica volta è andata in Corsica dalla sua famiglia, scatenando le ire di Domino che le vieta di frequentare anche l’ultima arrivata. All’opposto si pone Julia, ribelle e solitaria, con una rabbia che le dà forza, non definita in funzione di un ruolo (la donna di qualcuno), ma libera di vivere la sua passione per le moto esattamente come un uomo. Finirà per mettersi a capo di un ambizioso colpo da lei progettato a un “portavalori”.
Una moderna tragedia, con tanto di fantasmi che compaiono a turbare i sonni, che parte come un documentario con la macchina da presa che tallona i protagonisti e riprese incredibili di una disciplina, il “cross-bitume” anche chiamata “rodeo urbano” nata negli Stati Uniti negli anni 70 che ha conquistato la Francia trent’anni dopo, osteggiata e perseguita dalla legge. Nella seconda parte la posta in gioco si alza e Rodeo si trasforma in thriller. Ma è anche un western dei giorni nostri (non a caso la regista ha filmato in cinemascope con lenti anamorfiche) con i cavalli sostituiti dalle moto e con tanto di assalto alla diligenza. Julia assurge a figura archetipica che, senza tetto né legge, in sella alla sua moto, coraggiosa e determinata si trasforma in una novella Giovanna d’Arco, santa patrona delle banlieues.
Per realizzare Rodeo, suo primo lungometraggio presentato nel 2022 a Un certain regard dove si è aggiudicato il premio “Coup de cœur du jury”, la regista Lola Quivron (anche sceneggiatrice del film con Antonia Buresi) ha impiegato 5 anni: è entrata in contatto con un gruppo di motociclisti che si allenava nel dipartimento Seine-et-Marne, non lontano da Parigi, li ha studiati, ha realizzato reportage fotografici su di loro, videoclip, il cortometraggio con cui si è diplomata alla Fémis dal titolo Au loin, Baltimore (2016) e il successivo mediometraggio Ça brûle. In un’intervista ha dichiarato che molti film l’hanno influenzata: da Furore e grida (1988) di Jean-Claude Brisseau a Gioventù bruciata (1955) di Nicholas Ray, ma anche Rosetta (1999) dei Dardenne, Accattone (1961) di Pasolini, Taxi Driver (1976) di Scorsese, Il piacere e l’amore (2007) di Nuri Bilge Ceylan e Shoah (1985) di Claude Lanzmann. Per quanto riguarda Julia «La furia umana (1949) di Raoul Walsh con James Cagney è stato un vero punto di riferimento con il suo splendido finale in cui si fa saltare in aria in un’industria petrolchimica per sfuggire alla polizia». Una regista che sa da dove viene e soprattutto, con un esordio così folgorante, dove vuole andare. Chapeau!