Un bel caso di fraintendimento e ambiguità quello di John Updike (1932-2009). Il suo vero successo esplose nel 1968 con un romanzo, Coppie che fece di lui una specie di alfiere dei “nuovi costumi sessuali” mentre si trattava, piuttosto, di un’imperfetta ricerca di Dio condotta attraverso (frequenti) scambi amorosi. Però il libro indimenticabile di questo harwardiano segnato dalla preoccupazione calvinista del Male rimane indiscutibilmente, il suo secondo romanzo, Corri, coniglio (l’opera che, compie 60 anni, e introduce il personaggio di Harry Angstrom, detto “Coniglio”, che è poi apparso nei romanzi Il ritorno di Coniglio 1971, Sei ricco, Coniglio 1981, Riposa Coniglio 1992). Bisogna pensare al titolo originale per farsi un’idea dell’intelligenza linguistica di Updike Rabbit, Run con le sue sonore allitterazioni sembra inventato per dare ragione al linguista Roman Jakobson su cosa sia “la funzione poetica” del linguaggio (Updike, anche se meno noto per questo, è un interessante poeta; nonchè autore di ottimi racconti, poco tradotti da noi). Rabbit, Run rende bene anche lo strano movimento a scatti del protagonista Harry Coniglio Angstrom per tutto il romanzo, con movimenti ora da quell’ex campione di basket che è, ora da autentico animale in fuga:” Coniglio prende la giacca piegata e la tiene in mano come una lettera mentre corre. Su per il vicolo. Oltre la fabbrica del ghiaccio abbandonata con gli scivoli di legno che imputridiscono sulla piattaforma di carico in rovina. Bidoni dell’immondizia, porte di garage, reti metalliche che ingabbiano steli intricati di fiori secchi. È il mese di marzo, l’amore rende l’aria leggera”. Tra l’inspiegabile accidia, o abulia sostanziale, in cui vegeta il protagonista, e le sue corse in cerca di qualcosa di sacro che continua evidentemente a sfuggirgli, Corri, Coniglio regala forse la felicità maggiore al lettore nel continuo, e narrativamente splendido, mutare dei punti di vista. Una delle scene più struggenti della narrativa del secolo scorso, la morte per annegamento nella vasca da bagno della piccola Rebecca sotto lo sguardo della madre ubriaca, è vista come in soggettiva da una macchina da presa posta negli occhi e nella testa della madre.