La gazza ladra di Robert Guédiguian, la possibile utopia

È ancora necessario sottolineare la coralità dei film del regista marsigliese? Dopo tante prove che ha dato ci pare davvero inutile. Con questo suo ventiquattresimo film conferma le coordinate del suo cinema che per altro verso, in fatto di ambientazione, risponde a quello che dice Tonio, il personaggio di E la festa continua! Sul finire di quel film, quando parlando di Marsiglia dice: «Allora le piace Marsiglia? Non piove mai. Qui sono tutti di sinistra. Niente borghesi, fascisti o razzisti… Solo gente perbene!» Il cinema di Guédiguian è Marsiglia – tranne la breve e non troppo dissonante trasferta in Mali per Twist a Bamako – con la sua gente e la sua ordinaria vitalità tra scorci marini e stradine di quartiere, che anche questa volta è L’Estaque, il caratteristico quartiere rivierasco dove si consuma la vita di gente semplice, quella gente perbene che popola i film del nostro regista. La gazza ladra non muta le prospettive di questo lungo racconto che è il cinema di Guédiguian e nel quale le maschere dei suoi personaggi si alternano. Ma sotto il ruvido cartone della maschera troviamo sempre Ariane Ascaride (Maria), Jean-Pierre Darroussin (Moreau), Gérard Meylan (Bruno), Grégoire Leprince-Ringuet (Laurent), Robinson Stévenin (Kevin), Marilou Aussilloux (Jennifer), l’allegra brigata, direbbe Renoir, che come una vecchia compagnia di giro si esibisce di volta in volta tra le righe della vita. D’altra parte per trovare una vera sintesi del suo cinema basta affidarsi alla interpretazione autentica dello stesso autore che è fermo nel dichiarare: «Il cinema non mi interessa come mestiere, ma come modo di vivere collettivo». E bisogna dire che lo ha dimostrato con estrema chiarezza e semplicità.

 

 
Maria è la badante del sig. Moreau, ma anche di altre e altri anziani signori. Maria ha un marito Bruno, che non ha pensione perché ha sempre lavorato in nero, gioca a carte e perde. I due hanno una figlia Jennifer sposata con Kevin, che fa il camionista, e a loro volta hanno un figlio Nicolas, un talentuoso giovanissimo pianista. La nonna ha fiducia in lui e aiuta la figlia con le spese, ma in realtà i soldi provengono da quelle sottrazioni che Maria spregiudicatamente compie nei confronti dei signori che assiste. Laurent, il figlio di Moreau, sposato con Audrey, si accorge dei furti e minaccia denuncia. Jennifer viene a sapere di come la madre si procurava i soldi per suo figlio e sperando di risolvere le cose va a trovare Laurent. Ancora una volta il racconto quotidiano di Guédiguian ci incanta e ci avvince, ci fa entrare dentro le vite di questi personaggi che appaiono sempre veri e veritiere le loro vicende. Non solo dunque il cinema diventa per il regista marsigliese un modo di vivere collettivo, ma anche e soprattutto pare indicarci una strada, quella della reciproca comprensione, quella di un allargamento delle prospettive che riguardano l’io, per coniugare la vita con un “noi”. È esemplare la figura di Moreau, che pur dopo avere saputo di essere stato derubato rivuole la sua badante, forse perché ne è segretamente innamorato e, in un valzer sentimentale a la Billy Wilder di Cosa è successo tra mio padre e tua madre, tutto sembra dovere continuare nelle generazioni future.

 

 
In questo quotidiano così straordinario che di film in film si ripete in una sorta di serialità scomposta nella quale, di volta in volta, in un girotondo che resta uguale nelle sue coordinate, ma differisce in quelle diverse sonorità in cui si esprime quel quotidiano, Guédiguian, con la sua ormai riconoscibile impronta, quasi un marchio indelebile di fabbrica, prova a mostrarci la possibile fondazione di un’utopia che possa migliorare la qualità della nostra vita. Un’utopia che non sta nell’azzerare i conflitti, ce ne sono tanti nel suo cinema di personali e sociali, ma sta nel modo di viverli, sta nel modo di risolverli. È così che Marsiglia, quel posto di gente perbene, con i suoi tramonti brillanti e pacificatori ci sembra quasi un felice eden da conquistare. È dunque pacificatorio il cinema del nostro autore? Il suo non è un cinema pacificatorio – basti pensare al suo precedente E la festa continua!, che sembra andare controcorrente rispetto al suo ironico titolo – ma è un cinema che, raccontando le dinamiche di una comunità – a cominciare da quel seminale Marius e Jeanette – prova a dare forma ad una possibile convivenza senza anestetizzare i conflitti, ma rintuzzando e raffreddando ogni malignità. E ciò può avvenire soltanto vestendo, possibilmente, i panni dell’altro come farà Kevin con sua moglie Jennifer. Ancora Guédiguian ci accoglie dentro questo suo cinema dalle braccia aperte e ci indica la strada per la possibile utopia.