Yuri è mal sintonizzato sulle frequenze della vita. Ha un allevamento di vacche, fa il formaggio, taglia la legna, fa il miele, porta le vacche in alpeggio, scorrazza a bordo della sua moto nei boschi, ma non è contento. Lo si evince dal malessere che trasuda dai suoi gesti e dai suoi sguardi e dalla rabbia a stento trattenuta perché Yuri è un taciturno, preferisce osservare piuttosto che parlare. Non sa esattamente cosa vuole né cosa gli manca: non è mai stato da nessuna parte e ha iniziato troppo presto a occuparsi degli animali. Ha un’infatuazione per Agata, ballerina-spogliarellista nel night club che frequenta di tanto in tanto. Ha una madre che non vede mai e una sorella fidanzata con un ragazzo che a Yuri non piace (lo chiama «il sorcio» e lo insegue con il suo fuoristrada per le strade di montagna per spaventarlo). Lavora duramente con “il vecchio”, suo padre, ma i soldi non bastano mai (per aggiustare l’auto, ma anche per far curare una vacca malata). Fondamentalmente è un buono, affezionato alle sue bestie (accoglie Ciop, una vecchia mucca malandata da un amico che vuole disfarsene, porta barattoli di miele ad Agata all’uscita dal locale, conserva come un cimelio il teschio di Bruna, la prima mucca che ha avuto, morta a 17 anni, affisso nella casa diroccata che gli serve da rifugio). È fuori dal mondo ma anche fuori dal tempo: Agata gli fa notare che nessuno usa più il lettore cd in auto e che la musica che ascolta è vecchia.
Il suo malessere potrebbe essere legato alla solitudine: «Poi magari a un certo punto uno non ha più voglia di stare da solo», dice mentre si trova al pascolo con il fratello minore e il vecchio. Per questo, e in particolare per dare una possibilità a quella che potrebbe diventare una relazione con Agata, decide di trasferirsi in città per lavorare con lo zio, impresario edile. Un’altra vita sembra possibile: frequenta Agata, vede un appartamento che però non può permettersi, pranza con i colleghi di lavoro, esce con lo zio… Ma anche qui è fuori posto e sembra rendersene definitivamente conto quando deve disfarsi del nido di merli che trova in cantiere («Buttalo giù, tanto sono già morti», gli intima lo zio). Il ritorno nelle sue montagne e soprattutto nella casa diroccata che potrebbe diventare la sua dimora non rappresentano una sconfitta, semmai un’accettazione della propria natura e del proprio essere. Dopo aver sistemato un infisso, indossa il teschio di Bruna diventando tutt’uno con lei: un momento fondamentale che gli fa capire che la radio non deve necessariamente essere sintonizzata sulla giusta frequenza. La regista Chiara Campara (classe 1987), anche sceneggiatrice con Lorenzo Faggi, alla sua prima opera di finzione dopo vari documentari (Lessons of Love nasce dalla costola di Le allettanti promesse, documentario realizzato sempre con Faggi), è molto brava a suggerire piuttosto che a dire, procedendo per frammenti, facendo percepire abissi solo accennati in una vita e in un mondo che sembra conoscere a fondo, senza fornire una sola possibile chiave di lettura ma lasciando aperte varie interpretazioni. Ottima la scelta di affidarsi a un protagonista come Leonardo Lidi, finora alla sua migliore interpretazione cinematografica. La sua fisicità e lo sguardo malinconico che potrebbe esplodere in violenza o follia da un momento all’altro ricorda il Chris Penn di America oggi di Robert Altman o di Fratelli di Abel Ferrara.
Il film è visibile dopo una semplice registrazione su www.artekinofestival.com