We Can Be Heroes: (L-R) Vivien Blair as Guppy, Isaiah Russell-Bailey as Rewind, Lotus Blossom as A Capella, YaYa Gosselin as Missy Moreno, Akira Akbar as Fast Forward, Hala Finley as Ojo, Dylan Henry Lau as Slo-Mo. Cr. Ryan Green/NETFLIX © 2020

Costruire il domani: su Netflix We Can Be Heroes di Robert Rodriguez

La distribuzione su Netflix a partire dal 25 dicembre scorso, ben chiarisce gli intenti di una pellicola come We Can Be Heroes, con cui Robert Rodriguez torna al cinema per famiglie a 9 anni dall’ultimo Spy Kids. Il riferimento in questo caso va però cercato nell’altro esperimento del genere, Le avventure di Sharkboy e Lavagirl, di cui la nuova pellicola è un semi-sequel: protagonista della scena sono infatti i figli della peculiare comunità di supereroi di cui gli stessi Sharkboy e Lavagirl fanno parte, allargata per l’occasione a un nutrito e variopinto numero di nuovi personaggi. Il pretesto implica quindi l’affermazione del mito supereroistico come si è sedimentato nel cinema contemporaneo: i figli in questione devono infatti salvare il mondo dopo la sconfitta dei genitori, dimostrando di essere degni di chi li ha preceduti, assolvendo così al simbolico passaggio di consegne. Ma, allo stesso tempo, Rodriguez compie un importante superamento di ogni coordinata nostalgica, per concentrarsi sulle nuove leve. Il senso è chiaro: piegare la cifra ispirazionale del genere al bisogno di far evolvere lo stesso, in una dialettica a distanza con un mercato che, al contrario, insiste sempre sui ritorni più o meno attempati. Segno che, anche quando gioca, Rodriguez fa sul serio e in questo senso, We Can Be Heroes è una perfetta dichiarazione d’intenti: il film, infatti, confina gli eroi del passato a un ruolo minore se non addirittura minimo, riducendoli a simulacri di una comunità vanesia, affamata di selfie e prettamente esteriore.

 

 

Al contrario, i giovani successori guadagnano il centro della scena, anche in virtù delle esperienze difficili da cui provengono e che incarnano: a guidare il gruppo c’è infatti l’unica figlia priva di poteri, e a lei si affiancano un fratello e una sorella che non si sopportano, un ragazzo su sedia a rotelle, una bambina autistica e via citando. Chiaramente siamo nel più classico campo dei celebri “superproblemi” del genere, propedeutici a quella drammaturgia che poi avrà il suo sbocco nella necessità di superare le diffidenze reciproche per fare fronte comune contro i nemici. Ma ugualmente, Rodriguez rivitalizza questi elementi attraverso una comunità con problemi reali, basata sull’essere anziché sull’apparire, con cui il giovane pubblico può relazionarsi a un livello più personale. Un gruppo capace di guardare alla propria forza interiore, in una dialettica a distanza con quei precursori ormai ridotti a semplici maschere (i genitori non a caso indossano tutti un costume, diversamente dai figli). Il rispecchiamento adulti/bambini trova poi la sua sublimazione nel confronto con il Presidente traditore che ricorda Donald Trump e che chiarisce definitivamente la cifra inclusiva che Rodriguez vuole inserire nel suo film, lui che è di origini messicane, ricordando così come la grandezza non sia frutto di un immaginario again del passato, ma si costruisca con la diversità e la cooperazione di tutti, guardando al domani.

 

 

In tal modo, We Can Be Heroes si offre con il sorriso di un’operazione semplice per mettere in scena un mondo dove, alle possibilità cartoonesche offerte da avventure che spaziano fra la terra e il cielo, si uniscono le possibilità di superare limiti altrimenti considerati insormontabili da parte degli ultimi. Siamo sempre, perciò, nei territori già esplorati dal regista in Alita, nei già citati Spy Kids e persino (con i debiti distinguo di tono) nella saga di Machete, con personaggi outsider e al contempo larger than life, che devono prendere le misure del loro cammino per poi imporre le regole garantite dalla propria unicità. Ugualmente, il tono divertito dell’operazione, con continue gag e effetti speciali che esibiscono la propria ironica cifra irrealistica – aspetto anche questo in controtendenza rispetto ai canoni hollywoodiani e più vicino a certo cinema giapponese – non è pensato per creare cesure brusche, come dimostra il finale più consolatorio, in cui la comunità dei padri e dei figli si ritrova in ogni caso riunita, svelando la vera posta in gioco della missione. Tutto comunque è pronto per nuove prosecuzioni, già annunciate da Netflix dopo il buon successo dell’operazione.