Viaggio a Mosca: al Trieste Film Festival Frenchman di Andrej Smirnov

È una specie di crocevia di idealismo e ideologia, illusione e disillusione, sentimento e distacco il giovane Pierre Durand, lo studente comunista francese in visita a Mosca nel 1957 che dà il titolo al nuovo film di Andrej Smirnov, Francuz (A Frenchman), visto a Rotterdam e ora in concorso al 32° Trieste Film Festival nella sua edizione online. Classe 1941, studi al VGIK, esordio negli anni ’60 per una carriera rara di film ma bella e significativa: Smirnov, che è anche un “Artista del Popolo” ma non è certo un regista centrale nella scena cinematografica del suo paese, è una sorta di scheggia che si conficca nel presente della Russia portandosi dietro i segni di più generazioni: ha conosciuto lo stalinismo, il rigore sovietico del tempo della guerra fredda, la glasnost e ora conosce l’era putiniana. Era fermo da dieci anni circa e questo suo nuovo film giunge a noi con la semplice forza simbolica di una parabola in cui è l’estraneità del protagonista la vera forza drammatica e, al contempo, la chiave d’accesso alla lettura del presente della Russia che il film propone.

 

 

Pierre Durand, col suo bellissimo nome da eroe letterario, è un testimone che cade nella Mosca chrusceviana come un corpo estraneo prima di tutto a se stesso: è uno studente parigino iscritto al Partito Comunista Francese che giunge in Russia con un visto di studio e nel bagaglio, sotto il fervore ideologico che lo sorregge, il segreto bisogno di trovare le tracce del suo vero padre. Che era un nobile della Russia zarista, un ex ufficiale dell’armata bianca, inghiottito dalla guerra dopo aver messo incinta sua madre e prima di finire disperso nel repulisti dei gulag. Cresciuto dal patrigno e dalla madre in ambiente borghese e immerso nel mito di un comunismo vissuto da questa parte della cortina, nel clima freddo e sospettoso di Mosca Pierre s’innamora di una ballerina e stringe amicizia con un giovane poeta innamorato del jazz e invischiato con la stampa indipendente. Pierre è insomma un frammento d’altrove disperso in una scena alla quale appartiene mentre ne è estraneo: è un francese che parla perfettamente il russo, è comunista cresciuto in ambiente borghese con sangue nobile nelle vene (come per una vita gli ha ricordato la madre), cerca un padre che non gli appartiene e che a sua volta è un residuato russo in territorio sovietico…

 

 

 

Tutto questo diventa per Andrej Smirnov una pagina su cui scrivere in bianco l’avventura di una disillusione incarnata nella storia del giovane Pierre Durand e vissuta nella Storia del suo paese. Che è anche la storia presente di un paese rispetto al quale il vissuto che il regista intimamente sembra coltivare è quello della perdita d’identità. Il personaggio più flagrante è infatti quello del padre, che apre al film la prospettiva di un riconoscimento che è anche una perdita, un addio. Tutto il resto ha la formulazione letteraria del romanzo di formazione, della storia d’amore, del dissidio spionistico, così come la forma è quella della nouvelle vague che aggredisce il presente e lo trasforma in regola da infrangere, in contrasto dialettico (bellissimo l’incipit parigino, così sfacciatamente da giovane turco, con quella gioventù frenetica che giganteggia per strada attorno a un tavolino del bar…). In realtà, il film in sé ha una dolcezza triste e gioiosa, contraddittoria come il suo bianco e nero volutamente diafano, che solo nella parte del padre trova una vaga sfumatura d’antico che dà colore allo sfondo. Smirnov ha la dolcezza di un altro tempo, lo sguardo di chi ha visto altri mondi e li trascrive in questo suo film così trasparente ma anche pregnante. La dedica è non a caso al dissenso: a quel Alexandre Ginzberg attivista, poeta e giornalista, che è stato uno dei primi dissidenti sovietici. E cade in un momento in cui le piazze russe di dissenso si animano.

 

www.triestefilmfestival.it

La 32ª edizione del Trieste Film Festival è visibile sulla piattaforma MYmovies