La traiettoria è netta, precisa e determinata come l’intenzione che muove Laura: vedere i petroglifi del Lago di Kanozero. Il tracciato è quello della linea ferroviaria che da Mosca la porta nella regione russa di Murmansk, passando per San Pietroburgo: circa duemila chilometri da percorrere in gran parte in treno, nello Scompartimento n. 6 che questa ragazza finlandese si ritrova a condividere con la persona più improbabile che potesse incontrare: Ljoha, un ragazzone russo dalle maniere grossolanamente amichevoli e dall’aria timidamente spavalda, che a Murmansk ci sta andando di certo non per vedere i petroglifi, ma per lavorare. A farli incontrare in questa sua opera seconda e Juho Kuosmanen, magnifico finlandese che cinque anni fa aveva esordito con La vera storia di Olli Maki, regista a cuore caldo e sangue freddo che sa rendere profonde e appassionanti storie lievi e minimali. Il breve incontro di Laura e Lioha è un tracciato lineare basato sul contrappunto di due figure che si trovano impropriamente e finiscono per innamorarsi senza quasi accorgersene. Lei ancora non lo sa, ma quando sale sul treno è già lontana da un altro amore, quello che l’ha unita a Irina, la professoressa moscovita che l’ha scaricata alla vigilia del viaggio e che ormai le risponde sbadatamente al telefono. Lui ha l’aria dolcemente burbera del ragazzotto russo che cena in treno con salsiccia e vodka, tenta goffamente di attaccare bottone con la sua compagna di viaggio e finisce la serata ubriaco.
La differenza e la diffidenza sono il gancio che Kuosmanen utilizza per tenere insieme queste due figure perse nella loro solitudine, facendole incontrare a metà strada tra l’improbabilità, la necessità e l’incoerenza del loro stare insieme. Il non detto del loro vissuti pregressi è il terreno vago su cui il film edifica la straordinaria alchimia di questo incontro: nulla sappiamo di Lioha, della sua fragilità e della sua solitudine che resta tale anche nel cuore della tappa a casa della vecchia madre (adottiva) in cui trascina Laura. E poco sappiamo anche di questa ragazza finlandese in trasferta (di studio o forse solo d’amore) moscovita, se non che è a disagio nello stantio giro intellettuale di Irina che conosciamo all’inizio. Kuosmanen costruisce l’intreccio (traendo spunto, molto vagamente, dal romanzo di Rosa Liksom, in Italia per Iperborea) sull’azzeramento dello sfondo, sprofondando i due protagonisti nel luogo astratto del treno, spingendoli in un movimento che li allontana dal punto di partenza e li affida alla nudità della loro relazione pura e semplice: nulla di pregresso, nulla di voluto, tutto di inatteso, dunque tutto vero, autentico e vivo. Che poi è la forza dinamica che Juho Kuosmanen trova sempre per le sue storie, sin da Taulukauppiaat, ovvero The Painting Sellers, il mediometraggio che nel 2010 lo aveva segnalato alla Cinefondation di Cannes (e che era passato nella sezione Onde al Torino Film Festival), in cui teneva insieme tre figure assolutamente incongrue nel gelo di una notte quasi natalizia, solo con la forza del filmarle in un’unità spaziotemporale pulsante di vita.
Scompartimento n. 6 (Gran Premio della Giuria a Cannes 2021) conferma insomma la qualità immediatamente empatica del cinema di questo regista, che scrive sulla trasparenza delle figure cui si affida con generosità, sulla levità del loro essere eroi drammatici di una vita a grado zero, introversa, dedita all’ascolto delle proprie vibrazioni: quello che del resto era il dono più autentico dell’aspirante campione mondiale dei pesi piuma Olli Maki, al quale Kuosmanen aveva dedicato il suo film precedente. Quasi uno studio d’umanità resistente nel cuore freddo di una vita che sa essere eroica nella quotidianità, romanzesca nella semplicità, appassionata nell’indifferenza. Quello di Juho Kuosmanen è indubbiamente un cinema che sa farsi amare.