Su MUBI la luce interiore del dolore in This Much I Know to Be True di Andrew Dominik

Nel 2016 Andrew Dominik aveva girato One More Time with Feeling presentato alla Mostra del Cinema di Venezia e il film era già un film sull’album in uscita di Cave che si intitolava Skeleton Tree. Sono trascorsi sei anni da quel film e Dominik torna a girare un altro film con Nick Cave e con il titolo This Much I Know to Be True (Questo tanto che so essere vero) solidarizza con l’autore australiano e il suo musicista collaboratore Warren Ellis. Sempre esteticamente raffinato, come già il precedente, This Much I Know to Be True racconta a distanza ravvicinata la mutazione che lo stesso Cave rivendica come propria forma di approccio alla vita. La musica resta la sua passione artistica, ma il suo bisogno di manifestazione dei sentimenti attraverso forme artistiche si rivolge oggi anche al lavoro manuale della ceramica al quale si dedica, riversando nelle creazioni il suo mondo sospeso tra simboli e realtà, tra trascendenza e mistica vicina alla religione. Ma è soprattutto nel sontuoso e ampio studio, improntato ad una classicità vittoriana, che la sua musica sembra trovare lo spazio necessario per, letteralmente, librarsi e l’attento Dominik, che pone al centro della sua attenzione il soggetto primo del film, con la sua macchina da presa sembra ruotare, in forma satellitare, attorno all’elegante Cave, che al pianoforte reinventa la musica con l’aiuto dei suoi numerosi collaboratori. Se una colpa può essere riconosciuta a Dominik è la sua insistenza estetizzante, il suo approccio un po’ compiaciuto della forma, che però, in questa occasione, ritrova anche la sostanza, quella di un mondo fantastico ed elegante che la musica e i testi di Cave sanno raccontare.

 

 

Ma ciò che soprattutto emerge dalle immagini di questo viaggio nel mondo del musicista australiano è quel suo indubbio carisma, che sembra segnare anche il suo modo di muovere il corpo, il suo modo impeccabile ed elegante di raccontarci l’onirismo delle sue invenzioni fantastiche, i personaggi impossibili che popolano le sue terre immaginarie. Il film di Dominik, come già in precedenza, ci sa restituire questa ricchezza e al contempo farci perdere in queste fantasie musicali dall’aplomb mistico e surreale. Così come il film precedente diventava una riflessione sulla coeva produzione dell’artista, anche questo nasce sull’onda della nuova composizione di Cave e così This Much I Know to Be True diventa l’occasione per ascoltare in un live, inframmezzato dai suoi brevi interventi o dalla preparazione della scena, le dodici canzoni di Ghosteen e Carnage. È in questa forma live che il film di Dominik utilizza la scena i un set en plein air in cui la visibilità dei binari dei carrelli o dei microfoni che raccolgono le voci o, ancora, la preparazione per la breve apparizione di Marianne Faithfull ospite, nonostante i malanni che l’affliggono, diventa cifra stilistica, manifestazione di una corrispondenza ininterrotta tra cinema e musica, quella di Cave in particolare per il regista neozelandese. Paradossalmente è proprio in questa insistenza del mostrare i ferri del mestiere del cineasta, concetto sul quale per la verità il regista insiste eleggendo la forma a contenuto, che si ritrova quell’estetismo, che sopravanza rispetto al necessario, del quale lo stesso Dominik è evidente che si compiaccia. Nick Cave, al di là di ogni altra considerazione, conosce il dolore, quello perdurante e incancellabile della perdita di due figli, l’ultimo proprio qualche settimana fa: Jethro, attore e modello di 31 anni che soffriva di schizofrenia. Cave aveva invece perso il 15enne Arthur dopo una caduta da una scogliera a Brighton. È questa conoscenza del dolore, forse, che spinge l’artista a lavorare intensamente proprio sulla conoscenza della sofferenza. In questo diventa visibile il rapporto con il film precedente che era nato dalla reciproca fiducia tra regista e musicista. Se il dolore diventava in quel film qualcosa che doveva essere cantato e musicato e Cave se ne assumeva il dovere, anche qui, forse, condizionati dalla vita reale che fa ingresso sulla scena costruita del cinema, sembra che questo compito debba continuare ad essere assolto. Cave, con ancora maggiore consapevolezza e con lo sguardo largo dell’artista, lo canta secondo la sua cifra artistica, lo colora del suo mondo e ce lo restituisce come oggetto di riflessione. Ancora una volta Dominik sa cogliere gli attimi della creazione artistica e sa mostrare tutta la sua luce interiore, che è la stessa che vediamo guardando al mondo segreto di Nick Cave.