«I morti sono con noi. Alcuni rimangono con noi per sempre.
E le cose importanti che facciamo le facciamo per loro».
Un omicidio insoluto, uno dei tanti. Una giovane donna che potrebbe essere stata uccisa da una qualunque delle persone che le gravitano intorno. Un ispettore che cerca di risolvere il caso, ma gira a vuoto, come un criceto in gabbia. La notte del 12 di Dominik Moll racconta la storia di un crimine inspiegabile. E di un’ossessione. Il 12 ottobre 2016, a Saint-Jean-de-Maurienne, Clara, 21 anni, mentre torna a casa da una serata con le amiche, vede spuntare davanti a sé qualcuno dal buio che la chiama per nome, le butta addosso della benzina e le dà fuoco. Il mattino dopo da Grenoble arrivano gli investigatori della PJ capitanati da Yohan (Bastien Bouillon) che si è insediato da poco al posto del collega andato in pensione, ed è lui che deve dare la notizia alla madre. Un compito ingrato tanto che rimane senza parole, come sull’orlo di un precipizio, sentendosi morire. «Quando si ha il corpo è più difficile», gli rivela il vice Marceau (Bouli Lanners), più anziano. Iniziano le indagini: si scava nella vita della vittima, una ragazza «intelligente e gioiosa» a detta del padre, solare, allegra, disinibita, «a cui piaceva piacere e che capitava sempre sul tipo sbagliato», dice la migliore amica. Vengono interrogati gli uomini con cui negli ultimi tempi Clara ha avuto relazioni, più o meno nascoste: si tratta di immaturi (Wesley che ci tiene a precisare che «non eravamo una coppia» e prega i poliziotti di non rivelare nulla alla fidanzata) quando non proprio infantili (Jules che non riesce a trattenersi dal ridere e che teorizza «di base siamo tutti gelosi, ho deciso di non esserlo»), violenti a parole (il rapper Gabin che dice di non essere «un tipo violento», ma ha dedicato a Clara una canzone in cui parla di bruciarla viva) e maneschi (Vincent che parla della vittima come di «una ragazzina» che «amava il mio lato animalesco, non aveva pregiudizi»), più o meno improbabili (Denis che sostiene di essere «uno dei suoi ex, ma poi ci siamo lasciati»). Tutti circondati da madri, nonne, fidanzate che li proteggono, privi di un’educazione sentimentale e incapaci di instaurare un rapporto paritario con l’altro sesso.
I poliziotti si appostano, interrogano, intercettano, commentano, talvolta riescono a fare dell’umorismo, notano che «a partire da Giovanna d’Arco» sono sempre gli uomini che bruciano le donne, si lasciano andare a commenti volgari («Non era una santa») che irritano Yoan perché «le parole sono importanti»: se Clara era un tipo «non complicato», ciò non significa che fosse una ragazza «facile». Un uomo sui generis Yohan, quasi ascetico nella vita di ogni giorno – unico svago i giri in bici al velodromo -, sorta di angelo custode, vero e proprio “dono di Dio” come indica il suo nome, che veglia sui suoi uomini riportandoli alla realtà delle indagini («Si crede irreprensibile», dice di lui un collega durante una discussione), non dà giudizi e cerca di mantenere la giusta distanza (redarguisce il sanguigno Marceau che infrange la procedura inveendo contro Gabi perché «se parli più di lui è controproducente» e lo va a recuperare a casa di Vincent perché «Se è l’assassino e l’avvocato lo fa rilasciare per colpa tua non ti perdonerò mai»). Un testimone solitario delle dinamiche umane che cerca di sopravvivere in questa valle di lacrime, dove è facile soccombere, come il sensibile Marceau, che attraversa una profonda crisi personale, cita Verlaine e non riesce più a sopportare il suo lavoro («Provo solo odio. Volevo fare il prof di francese»). L’arrivo di una giudice (Anouk Grinberg) che riprende in mano l’inchiesta a distanza di tre anni e l’inserimento nella squadra di una giovane donna, Nadia (Mouna Soualem), «che non ha paura dei fantasmi», permettono a Yohan di fare i conti con il passato («Sono io il gatto nero»), smettere di girare a vuoto e uscire finalmente dal velodromo.
Basandosi sul romanzo inchiesta 18.3. Une année à la PJ in cui Pauline Guéna racconta la sua esperienza di immersione totale con gli agenti della Polizia Giudiziaria di Versailles nel 2015-16 («Ci sono crimini che vi abitano; crimini che fanno più male di altri. Venite colti di sorpresa, quando meno ve lo aspettavate, da un dettaglio che vi lascerà il cuore a pezzi. Si fissa in voi come una scheggia nella carne e tutt’intorno la piaga continua a infettarsi. Un giorno finalmente i tessuti si riformano – quella morte fa ormai parte di voi»), Dominik Moll, anche autore della sceneggiatura con Gilles Marchand, realizza un potente noir che tiene alta la tensione e la suspense (nonostante la didascalia iniziale sul fatto che «Ogni anno in Francia vengono commessi 800 omicidi. Più del 20% rimangono irrisolti. Questo film racconta uno di questi»), ma soprattutto diventa un atto d’accusa contro una società misogina in cui i crimini contro le donne nella maggior parte dei casi sono perpetrati da uomini (potente il primo piano sul volto di Yohan su cui si sovrappongono i vari indagati perché si tratta di un omicidio che «ognuno di noi avrebbe potuto commettere») e le indagini sono condotte quasi sempre da uomini. La strada da fare è ancora molto lunga.