Resterà l’impressione che l’impegno intellettuale e la militanza politica abbiano in qualche modo oscurato il talento del cineasta: Francesco Maselli, per tutti “Citto”, è scomparso all’età di 92 anni, al culmine di una vita dedicata senza sosta alle questioni sociali del fare cinema, nelle stanze in cui si discutevano le sorti del rapporto tra cineasti e leve della politica, espressione di un impegno che si trasformava in coscienza esistenziale. Tutte cose che oggi sembrano lontanissime, ma che hanno fatto e fanno la differenza tra lo stare nel mondo da intellettuali artisti e il semplice posizionamento sulla scena dell’industria cinematografica. Credeva nel cinema che ha fatto e nel modo in cui lo ha fatto, Citto Maselli, e questo era il segno di una militanza sincera che gli ha sempre procurato quel rispetto e quella considerazione che meritava, al di là delle sorti del suo lavoro da regista. Anche negli anni tardi, quando una certa stanchezza e la consapevolezza del mutare dei tempi avevano preso il sopravvento, sentivi in sua presenza quel vigore delle idee e delle posizioni assunte per tutta una vita che inducevano al rispetto anche di certe sue intemperanze. L’esperienza adolescenziale nella resistenza e la militanza nel PCI iniziata nel dopoguerra erano transitate nel posizionamento d’avanguardia sindacale in seno all’ANAC quando, dopo il diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia, era diventato un cineasta.
La vicinanza a Luigi Chiarini, l’amicizia con Antonioni (col quale scrive Cronaca di un amore e La signora senza camelie), i primi cortometraggi d’impronta neorealista, l’episodio di Amore in città firmato con Zavattini e interpretato dalla Magnani (La storia di Caterina), confluiscono infine nel folgorante esordio nel ’55 con Gli sbandati, che intreccia tensioni sociali e sentimentali in seno alla borghesia che si affaccia alla Resistenza. Maselli si colloca ardentemente nel suo tempo e alimenta una visione politica dell’esercizio cinematografico, che in quegli anni appare flagrante e risulta necessaria e che si porterà dietro con caparbietà per tutta una carriera. L’affacciarsi della borghesia sulla scena sociale in ripresa del dopoguerra diventa il punto di osservazione dei successivi La donna del giorno e I delfini, ma è nel ’63 che giunge l’incontro con Gli indifferenti di Moravia, testo che gli consente di trovare il giusto equilibrio tra costruzione drammatica e visione critica della società. Dopo due commedia realizzate per Franco Cristaldi (Fai in fretta ad uccidermi… ho freddo e Ruba al prossimo tuo), nel 1970 gira Lettera aperta a un giornale della sera, in cui mette in scena l’ambiente della sinistra romana che ben conosceva, raccontando con una certa ironia la disavventura di un gruppo di intellettuali che rischia di finire sul fronte vietnamita per aver inviato a un quotidiano una provocatoria lettera di ideale arruolamento volontario.
Ma è con Il sospetto che nel 1975 Maselli firma quello che è unanimemente considerato il suo film più compatto, in cui, sulla presenza carismatica di Gian Maria Volontè, costruisce una articolata riflessione sull’impegno politico, le ragioni di partito e il rigore ideologico: tutti argomenti che non mancano di animare il dibattito dell’epoca.
L’impegno come presidente dell’ANAC e le importanti battaglie che conduce in quegli anni lo portano ad allontanarsi dal set cinematografico per quasi un decennio (nel 1980 gira per la televisione Tre operai dal romanzo di Carlo Bernari). Lo si ritroverà nel 1986 in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia con Storia d’amore, riuscito esempio di realismo romantico disincantato, in cui offre a Valeria Golino il ruolo di giovane proletaria alle prese con la durezza dell’esistere. È il primo di una serie di ritratti femminili che negli anni ’80 portano il cinema di Maselli in una direzione più introflessa e drammaturgicamente archetipale: Codice privato con Ornella Muti e poi L’alba e Il segreto con Nastassja Kinski. Nel 1996 torna all’apologo politico con Cronache dal terzo millennio, cui segue nel 2005 Frammenti di Novecento, in cui assieme ad altri testimoni ricostruisce gli eventi cruciali della storia italiana dagli anni ’30 agli anni ’60. Nel 2007 gira Civico zero, tre episodi di impianto realista sui temi della immigrazione e dell’esclusione sociale, mentre del 2009 è Le ombre rosse, in cui racconta l’apologo di un intellettuale affascinato dal fermento di un centro sociale, costretto a ricredersi dinnanzi agli opportunismi e ai fraintendimenti che la militanza innesca in seno alla sinistra di partito. Il cerchio si chiude e la fedeltà alla linea da sempre osservata dal comunista Citto Maselli ritrova i dubbi e le contraddizioni del confronto con la realtà sociale del nostro paese, di cui è stato sino all’ultimo testimone.