Genesi e fenomenologia di un amore musicale consapevole, adulto e profondo verso un songwriter la cui qualità di scrittura e di versificazione rappresentano un’eccellenza italiana. È il contenuto del saggio Un ombrello d’eternità: la poesia cantata in musica di Massimo Bubola, scritto da Maurizio Telli e pubblicato da Marco Serra Tarantola Editore (Brescia, pagg. 350, euro 18). Per Telli, cremonese di Casalbuttano – dove ha anche fatto l’ Assessore alla Cultura, contribuendo al rilancio dello storico Teatro Bellini – l’incontro con Massimo Bubola ha rappresentato una folgorazione; ma la sua conoscenza è avvenuta in conseguenza di uno studio approfondito, minuzioso, che riesce a farci capire cosa l’autore ha visto in Bubola. L’alchimia tra scrittore e materia è evidente e genera effetti: la passione di Telli diventa la nostra passione; il suo cammino di ricerca diventa il nostro. Quando Maurizio Telli comincia a studiare Massimo Bubola, mosso dalla volontà di capire, al di là di ogni ragionevole dubbio, chi sia e quale ruolo giochi sulla scena musicale italiana, non ha in mente di ricavare un libro dall’indagine: il suo è un percorso dalle motivazioni precise, ma sostanzialmente personali. Giunto per gradi alla consapevolezza di dover dare un esito letterario alle sue fatiche, si dimostra però capace di trasferire sulla pagina, quasi per osmosi, la progressiva immersione nel mondo di un cantautore tra i più bravi e meno riconosciuti della scena nazionale, e renderlo patrimonio a disposizione di tutti; di farci capire, insomma, che cosa lui ha percepito di speciale nella maniera di comporre e nella personalità di Bubola, e di aiutarci a fare lo stesso. Che è esattamente quanto fanno i bravi recensori di musica, cinema e letteratura: non ci chiedono un’adesione acritica a un’opera o a un’intera produzione, in virtù di un’autorevolezza che riconosciamo loro, ma ci consegnano le chiavi affinché ciascuno di noi, se mosso da reale curiosità, possa capirla e decidere in autonomia come relazionarsi con essa. Telli ci conduce nel cuore di Bubola persona e artista, partendo da ciò che questi ha messo di sé in ogni singola canzone, facendone poi sistema: non ha quindi realizzato un’agiografia mascherata da studio oggettivo; non ha nemmeno ricreato un mondo a beneficio e misura di chi viene raccontato; al contrario, ha fatto emergere piano piano, con delicatezza, un universo nascosto e lo ha consegnato al lettore. D’altronde voleva capire lui per primo, se chi ha scritto (bene) cose che sono nell’immaginario collettivo di generazioni di italiani, lo avesse fatto solo per mestiere o perché ce l’aveva dentro…
La bravura di Telli nel raccontare Bubola si può riassumere in questo: il percorso di conoscenza che ha fatto non è mai disgiunto dalla esigenza di trovare conferme ad aspettative personali in merito alle qualità umane ed etiche, oltre che artistiche, del musicista veronese; ma avendo deciso di condividere con il lettore le sue scoperte, dimostra di sapersi svincolare dal particolare e confezionare un ritratto che si presta anche a letture diverse. Non importa infatti ciò che ci vediamo, importa che siamo disposti a guardare in profondità. A quel punto, a noi la scelta: prendere o lasciare…Singolare anche il metodo che Telli ha adottato per la stesura del libro, corredato da un’ampia appendice con i dati della discografia: non il consueto percorso cronologico, che poco si sarebbe adattato all’estro buboliano, ma un’impostazione di tipo antologico. Ce lo racconta lo stesso Telli, che abbiamo intervistato: “Ho optato per una modalità antologica perché mi sembrava la più adatta a raccontare un artista che sul palco procede per associazioni e contrapposizioni; che apre a digressioni, richiami, lampi di grande bellezza, rendendo ogni sua esibizione preziosa, con ricchezza di sfumature e di suggestioni. Ho assistito a una trentina di suoi live negli ultimi dieci anni, e mi ha stupito ogni volta per la cifra particolare che ha caratterizzato ogni singolo show”.
Amavi moltissimo De Andrè, con la sua morte ti sei sentito musicalmente orfano. Nel saggio descrivi lo smarrimento che è seguito alla sua scomparsa, il peregrinare nei teatri di provincia in cui veniva celebrato da collaboratori antichi e nuovi, da amatori, da illustri sconosciuti. In uno di questi appuntamenti, ancora sospeso tra la nostalgia e il rimpianto, incontri Bubola…
Ero a Carrara con mia moglie, e fu una scoperta. Ascoltai Massimo Bubola, che era in scaletta dopo altri performers, eseguire brani che aveva scritto con De Andrè (o, come avrei saputo più tardi, per De Andrè) come Fiume Sand Creek, Rimini, Una storia sbagliata e poi pezzi solo suoi, come Emmylou, Dino Campana… Mi emozionai, non posso negarlo: ne percepivo la potenza, la capacità evocativa, la dimensione immaginifica, lo spirito combattivo. Quello che fino a quel momento era stato solo un nome scritto nei crediti delle canzoni di Faber divenne un volto, poi una storia, una bellissima storia artistica e umana, che ho avuto l’onore e (indiscutibilmente) il piacere di conoscere e poi di raccontare.
Possiamo dire che De Andrè è stato l’amore di gioventù, Bubola quello della maturità?
In un certo senso, sì. A De Andrè mi sono avvicinato ragazzino, quando ero uno studente curioso, che amava le poesie di Montale, Quasimodo e Ungaretti, la prosa di Pirandello e Verga, che si dilettava con la tradizione del teatro classico. In particolare, per quanto concerne De Andrè, rimasi colpito dal primo ascolto di Carlo Martello (canzone scritta insieme a Paolo Villaggio)…Fabrizio è stato indubbiamente un compagno di viaggio per tanti anni della mia vita…
Poi ti sei avvicinato a Bubola, ma in punta di piedi, quasi tu ti sentissi in colpa per averlo ignorato in precedenza…
All’inizio, forse, fu così: non mi capacitavo di aver sottovalutato la forza che esprimeva nei brani scritti con o per De Andrè, ma anche la sua peculiare cifra espressiva. Quando cominciai a studiarne i dischi e gli scritti non pensavo assolutamente di ricavarne un libro: volevo capire il non detto che trasuda dalle sue canzoni, chi era e quale ruolo giocasse nella scena musicale italiana, della quale è un rappresentante appartato ma potente.
Perché appartato, perché potente?
Non è mai banale, ma nemmeno commerciale. Ed è soprattutto coerente con se stesso, la sua storia, i suoi valori; per cui è estraneo a molte logiche che regolano il mondo della musica italiana, che non sempre premia il merito. Anche se poi di uno le cui canzoni hanno venduto oltre un milione di dischi, si fa fatica a dire che è “appartato”…
Quando ha preso forma l’idea del libro?
Poco alla volta, quando il materiale ha assunto una configurazione importante e ho trovato il metodo adatto. Inoltre, ho considerato che se pure c’erano stati altri volumi dedicati a Massimo Bubola (penso in particolare a Doppio lungo addio di Massimo Cotto, del 2006), nessuno aveva tuttavia raccontato il suo universo andando oltre la dimensione più immediata, quella musicale. Invece io resto convinto che conoscere quello che c’è dietro le sue canzoni non sia soltanto fondamentale per capirle meglio, ma le faccia risaltare di più. E soprattutto, ci apre un mondo ulteriore, che ha uno spessore notevole: non è finto, non è di facciata. E racchiude memoria, cultura, conoscenza, capacità di racconto. Sono consapevole di aver avuto un osservatorio privilegiato, grazie alla grande disponibilità di Massimo, che si è messo a disposizione e mi ha dato accesso a tutti i documenti e i reperti di una carriera tuttora in corso; ma sono soprattutto felice di aver constatato come la sua biografia sia perfettamente intonata al suo percorso artistico.
Nel libro racconti benissimo, quasi con stupore di bambino, quel mondo patriarcale e contadino a cui Bubola si è abbeverato…
È quello di una civiltà legata alla terra, che si andava trasformando, ma che nel secondo dopoguerra era ancora presente, soprattutto nella pianura padana. Nel caso di Massimo, cresciutoin quel lembo di terra veronese che egli stesso definisce la “Mesopotamia italiana”, perché strettatra due grandi fiumi, si trattava di un universo ben definito ma non chiuso, dominato da un nonno che “vegliava sui fatti miei e sui fatti tuoi” e infatti omaggiato in una canzone straordinaria come Fiume Sand Creek ed evocato in altre. Bubola ha saputo, come forse nessun altro in Italia, trasformare la cultura del passato e l’esercizio della memoria, coltivato anche grazie al padre, oltre che al nonno, in conoscenza; e poi la conoscenza in parole e musica. Alla fine della ricerca, Massimo Bubola è diventato per te una figura quasi familiare, e certamente un amico.
Come lo definiresti in estrema sintesi?
Un uomo solidamente ancorato al passato ma proiettato verso il futuro; un artista capace di rappresentare benissimo il suo tempo, dotato di grande sintesi e con una versificazione esplosiva, istintiva, immediata; innamorato del rock e delle sonorità anglo-americane, non pago del molto che ha già fatto, perché guarda sempre avanti.
Chi fosse interessato all’acquisto di Un ombrello d’eternità può rivolgersi alla Libreria Tarantola (Brescia, via F.lli Porcellaga 4, tel.030/49300). Oppure scrivere direttamente a Maurizio Telli (maurizio.telli@gmail.com).