Scamarcio-Mordini e il flusso di coscienza di Pericle il Nero

scam-mordIn occasione della presentazione al pubblico milanese di Pericle il Nero abbiamo incontrato Riccardo Scamarcio (protagonista nonché produttore del film) e Stefano Mordini (regista e sceneggiatore). Prima di partire per Cannes dove il film sarà presentato a Un Certain regard giovedì 19 maggio, Scamarcio e Mordini saranno sabato 14 a Napoli, domenica 15 a Bari e lunedì 16 a Lecce.

 

All’origine di tutto c’è il romanzo di Giuseppe Ferrandino. Da dove nasce l’interesse per questo libro?

Riccardo Scamarcio: La prima volta che l’ho letto, l’ho fatto ad alta voce. Leggevo i pensieri di Pericle e sentivo la musica dei suoi pensieri. C’è questa sorta di infantilismo anche ingenuo, puro che mi ha colpito fin da subito in Pericle e ho pensato immediatamente che fosse un personaggio estremamente interessante da interpretare.

 

A proposito di infantilismo, il film può essere letto come un racconto di formazione e di emancipazione da un mondo di violenza (che peraltro finisce per disattendere le aspettative dello spettatore che a quel punto vorrebbe che la vendetta si consumasse)?

Stefano Mordini: Questa era l’idea, c’è una sorta di coming of age di un trentacinquenne che alla fine arriva a chiudere con il mondo violento di cui ha fatto parte fino a quel momento. Era la via più facile vedere che Pericle sodomizzasse don Luigino. Ma non volevamo andasse così. Per certi versi, è un po’ anche una questione politica. Tutti hanno la loro verità e l’unico modo per uscire fuori da questa sorta di Babele in cui tutti pensano di avere la verità è dire «Io non voto più per te e me ne vado».

 

Il film più del romanzo punta sulla solitudine di Pericle…

Stefano Mordini: Credo che ci fosse anche nel libro questo aspetto, scritto tra le parole, era chiaro, risuonava e quindi noi l’abbiamo cavalcato. Il libro non ha un plot preciso, è più un flusso di coscienza, in stile beat generation, per fare un parallelo in tempi moderni potrebbe assomigliare a un’opera di David Foster Wallace, e farne un film ovviamente era impossibile. Quindi in questo senso abbiamo costruito un plot più “consequenziale”, stando però sempre attenti a periclequello che il personaggio sentiva. E leggendo il libro alla fine sai che Pericle è un uomo solo.

 

Riccardo, come hai affrontato questo ruolo che, a prima vista, può sembrare scomodo?

Intanto è un grandissimo personaggio per cui, da attore, abitare o essere abitati, o comunque entrare in questo personaggio che è enorme e muoverlo in scena in maniera naturale non è proprio semplicissimo… Però io sento fortemente la necessità di vivere e interpretare dei personaggi che portino con sé qualcosa di catartico, di tragico anche, che implichino in qualche modo una domanda rispetto a tutto quello che conosciamo. E questo personaggio è un portatore sano di questa domanda. Is there a God? C’è un dio? Non veramente, però in qualche maniera il suo altrove, il suo percorso, la parabola di questo trentacinquenne bloccato a 15 anni, che si riscopre solo, orfano, che capisce che a un certo punto invece può avere una vita normale, insomma, è chiaro che ha qualcosa a che vedere con le domande più importanti della vita. Avere la possibilità di fare un personaggio così per un attore è una bella sfida…

 

L’ambientazione in Belgio slega il film da dinamiche prettamente connesse al territorio napoletano. Questa scelta è dettata anche da ragioni produttive?

Stefano Mordini: No, i Dardenne sono entrati in una fase successiva. Il film nasce con questa idea dopodiché, giustamente, quando ci si crede e si trova una soluzione attinente a ciò che vuoi fare, poi arrivano le coproduzioni. Certo, è un grosso lavoro, ma non abbiamo fatto il film per cercare coproduzioni in Belgio e Francia. Abbiamo deciso di fare il film in Belgio e Francia proprio perché volevamo trovare una sorta di non luogo, oltre che dare dignità a una storia che era stata scritta nel ‘93 e uscire fuori da una tradizione della criminalità. Io non volevo fare un racconto di criminalità napoletana, anche perché non avrei potuto farlo non essendo di Napoli e non conoscendone i meccanismi. Invece portando tutto all’estero avremmo ricominciato tutto da capo in un non luogo, in un Paese in cui per due anni – dal giugno 2010 – non c’è stato governo e siccome dietro questa storia c’è un personaggio che vive alla ricerca di un proprio posto, quella secondo noi era la scelta giusta.

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