In seguito a un’imboscata, Silver Surfer si ritrova proiettato nel passato, a cospetto di un dio oscuro che desidera espandersi fino a fagocitare l’universo. Il surfista d’argento usa il suo potere cosmico per difendersi dando vita a una piccola stella, ma questo gli costa un danno irreparabile: la sua pelle cromata si ricopre di una macchia nera che si espande sempre di più. Per trovare la forza di continuare a combattere, Silver Surfer dovrà fare un tuffo nel suo passato e fare i conti con le sue colpe, con tutte le volte che non ha mosso un dito quando il suo ex padrone, il divoratore di mondi Galactus, consumava un pianeta fino a distruggerlo, dopo che lo stesso surfista lo aveva individuato e glielo aveva segnalato. Di fronte all’oscurità, nel momento più difficile, di fronte alla furia del dio oscuro che lo fronteggia, Silver Surfer dovrà rispondere a una domanda straziante: cosa lo rende diverso da Galactus? Donnie Cates, uno degli sceneggiatori del momento sulla scena fumettistica americana, si misura con un’icona del genere supereroistico: Silver Surfer, uno dei personaggi più riusciti e memorabili di Jack Kirby, comparso per la prima volta sulle pagine di Fantastic Four negli anni ’60 e da allora entrato nell’inconscio dei lettori americani. Silver Surfer è un personaggio tormentato, un vagabondo dello spazio che solca le galassie a bordo di una tavola da surf, in grado di manipolare un’energia cosmica dai poteri sconfinata ma incapace di fuggire dai propri errori, dalle proprie colpe e dal buco nero senza fondo che è la sua malinconia. In Silver Surfer: Nero (I grandi tesori Marvel, Panini, pag.128, euro 24) Cates cattura l’essenza profondamente drammatica del personaggio a cui è perennemente negata qualsiasi forma di serenità ma non per questo smette di perseguire un ideale di giustizia quasi ascetico che è anche una forma di espiazione per i suoi peccati. Ma Cates non è fedele alla sola caratterizzazione di Silver Surfer. Coadiuvato dal tratto liquido e psichedelico di un Tradd Moore in stato di grazia, lo sceneggiatore riprende, rendendole attuali, le atmosfere della fase cosmica di Jack Kirby, quell’esplosione caleidoscopica di energia creativa che faceva capo a un’immaginazione senza freni, ardita nella rappresentazione di uno spazio profondo fatto di forme vertiginose al limite dell’astratto e di azione dinamica. Le avventure spaziali di Jack Kirby sono epiche, disegnate con il piede premuto a tavoletta sull’acceleratore.
Cates e Moore fanno loro la lezione di Kirby e la riattualizzano. Silver Surfer: Nero non perde un grammo dei toni da tragedia greca di Kirby ma li trasforma in un prodotto fresco, moderno, l’atto d’amore di chi ha capito la lezione ma non si limita a scopiazzare accomodandosi nella nicchia comoda del tributo o del divertissement. Cates e Moore vogliono ricreare l’epica e il sense of wonder di Kirby dando alla loro opera un senso per il lettore moderno, non a caso Silver Surfer nel volume fa i conti col passato e pianta i semi per il futuro, in una simbolica celebrazione della continuità ideale fra il passato e il presente di un personaggio diventato ormai archetipo, forse proprio perché nei suoi tormenti profondi c’è qualcosa di universale. Silver Surfer: Nero è la parte migliore della Marvel, quella che riesce a essere mainstream senza perdere la voglia di sperimentare con coraggio, affidandosi ad autori in grado di portare sulle spalle una serie di punta di una major senza rinunciare a quella sensibilità acuta, alle antenne sempre dritte di chi viene dalla scena indipendente ed è abituato ad annusare l’aria per capire cosa c’è di nuovo in giro.