“Combattere una guerra per trovare qualcosa di buono è come andare al bordello per curarsi lo scolo” scrive il grande Norman Mailer in Il nudo e il morto. Passano i decenni ma questa affermazione rimane una verità inattacabile. L’ennesima conferma si ha leggendo il terrificante (in tutti i sensi) Io sono un’arma di David Tell (Longanesi pag.614 euro 19,90). Il libro è uscito in Italia e negli Stati Uniti non è prevista la sua comparsa sugli scaffali delle librerie dato che rivela come lo stato trasforma un uomo in una macchina di morte. David Tell non esiste, è lo pseudonimo di un ex-marine che vive in Italia da un po’ di anni, è sposato e ha due figli. In un recente passato ha fatto parte della Fast Co (Fleet Anti-Terrorism Security Team Company). Il Fast è il grado finale nella carriera di un marine: “Insieme a poche altre unità d’élite, è la punta estrema della lancia”. Tell racconta in prima persona un addestramento (durante il quale non sono infrequenti le morti) al cui confronto il traning di Full Metal Jacket sembra una gita di boy scout. In sintesi il fine ultimo di questo tour de force è cancellare, dalla mente e dai cuori dei soldati, ogni segno di empatia nei confronti degli altri esseri umani. Masse di muscoli e tendini programmati per combattere, uccidere e basta. Senza pensare, senza porsi domande. Il corpo dei marines ha una raccapricciante “Tabella dell’aspettativa di vita in combattimento” che è regolarmente appesa nelle camerate in zone di guerra. Secondo la tabella un mitragliere sul campo di battaglia ha 9 secondi di vita. Tell nota che nessuno si pone il problema perché tutti sono convinti che la cosa non li riguardi: toccherà sicuramente ad altri mitraglieri. Il marine non ha amici. Sa che può morire ma non gli interessa, semplicemente se ne fotte della morte (di chiunque). David è stato mandato in Iraq, ha partecipato a decine di missioni, ha ucciso. Al rientro da ogni azione i marines parlano con lo psicologo che si assicura che:”non siamo troppo danneggiati dal punto di vista psicologico e possiamo ancora essere utilizzati.” Tell, in un colloquio dopo una cruenta missione alla solita domanda: cosa hai sentito? Ha guardato lo psicologo negli occhi e gli ha detto una sola parola:”rinculo”, come il rinculo dell’arma.