Terra amata. Fotografie 1952-2015 (Pag. 272, euro 29, Contrasto) è il libro che fa i conti con una vita di lavoro. Infatti presenta per la prima volta un’ampia selezione di oltre sessanta anni di attività di Pepi Merisio. Curato da Giovanni Gazzaneo, il volume è arricchito dai testi di Cesare Colombo, Roberto Koch, Ferdinando Scianna, dello stesso Merisio e del curatore. L’ambito ideale della poetica di Merisio è il mondo contadino, con le sue tradizioni e la sua profonda religiosità, e l’Italia “minore”, con la sua gente, i suoi centri storici, la bellezza della natura. Con la sua macchina fotografica Merisio ha compiuto una missione che nessun altro in Italia è stato in grado o ha voluto compiere: essere il testimone (e il cantore) di una civiltà, quella contadina, scomparsa tra gli anni Cinquanta e Sessanta. In apertura: Una sposa a Villa d’Adda, 1965 (© Pepi Merisio).
Fin dagli inizi il suo obiettivo ha puntato dritto all’umanità dei semplici. La passione per la realtà gli ha permesso di offrirci immagini che colgono l’amore, il lavoro, l’amicizia, il gioco, l’attesa, la gioia, la preghiera. Un canto di terra e cielo, vita e morte. Ecco il suo segreto: la capacità di raccogliere gli estremi (e quindi il tutto) in uno sguardo. La sua è la bellezza della memoria che si offre nella purezza delle forme e nell’essenzialità del bianco e nero. Pepi Merisio ci offre, in Terra Amata, immagini che vanno da oltre sessant’anni fa ai giorni nostri, e ci fanno partecipi del suo sguardo profondo sulla storia del nostro Paese. Grazie alla struttura organizzata in sei sezioni – Il canto della terra, Le età della vita, Il lavoro dell’uomo, I volti dell’abitare, I nostri ieri, Janua Coeli – il volume permette di ripercorrere, pagina dopo pagina, tutta la sua opera.
L’ultimo degli umanisti. Questo è Pepi Merisio. La stella cometa del suo percorso, da oltre mezzo secolo, è l’interesse per l’uomo. La passione per la realtà e la sete di orizzonti hanno permesso a Pepi (diminutivo di Giuseppe in quel di Caravaggio, il paese natìo) di offrirci immagini che vanno oltre gli “scatti” di cronaca. Hanno piuttosto la forza dell’icona. La sua è la bellezza della memoria che si offre nella purezza delle forme; un rigore volto all’essenzialità, che non lascia margini a barocchismi o compiacimenti. Il suo è un canto all’umanità fatto di immagini che colgono l’amore, il lavoro, l’amicizia, il gioco, l’attesa, la gioia, la preghiera. Un canto di terra e cielo, vita e morte. Ecco il segreto di Merisio: la capacità di raccogliere gli estremi (e quindi il tutto) in uno sguardo. La purezza dello sguardo è il tratto distintivo della fotografia e dell’arte di Pepi Merisio, che non solo ritrae, ma condivide lo sguardo altrui. Negli occhi vivaci di questo ragazzo dalle ottantacinque primavere – “La speranza è la mia giovinezza”, diceva Ungaretti – e nel suo cuore sempre pronto a entrare in empatia con i soggetti che ritrae c’è la chiave del suo essere fotografo e prima ancora del suo essere uomo.
Giovanni Gazzaneo