La memoria e le parole rimaste: Pensate sempre che siete uomini – Una testimonianza della Shoah di Piero Terracina

Nell’autunno del 1938, dopo l’emanazione delle leggi razziali in Italia, Piero Terracina fu espulso da scuola come tutti gli studenti di religione ebraica. Proseguì gli studi nelle scuole ebraiche, sfuggì al rastrellamento di Roma del 16 ottobre del 1943 ma venne arrestato a Roma il 7 aprile 1944 con tutta la sua famiglia: i genitori, la sorella Anna, i fratelli Cesare e Leo, lo zio Amedeo, il nonno Leone David. Furono detenuti per qualche giorno nel carcere romano di Regina Coeli, poi passarono nel campo di Fossoli e quindi finirono ad Auschwitz. Degli otto componenti della sua famiglia, Piero Terracina sarà l’unico a fare ritorno in Italia. Dalla razzia del Ghetto di Roma nell’ottobre 1943, al campo di prigionia di Fossoli, sino al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, Terracina ha conosciuto in prima persona le tappe più crudeli e sconvolgenti della persecuzione nazista. A seguito del suicidio di Primo Levi, decide di raccontare al mondo l’orrore che ha vissuto. Instancabile testimone, se n’è andato l’8 dicembre 2019. Piero Terracina ha trovato la forza di confidarsi con Lisa Ginzburg  ne è venuto un racconto pacato e commovente, lucido ma ancora memore della totale vulnerabilità e dello sgomento di fronte all’abominio della violenza nazista (Pensate sempre che siete uomini – Una testimonianza della Shoah, pag.112, euro 12). Lisa Ginzburg nella postfazione mette in luce il travaglio di Terracina:”Io ricordo, Io mi ricordo: molte volte è con interiezioni di questo tenore che Piero Terracina introduce il suo racconto. La sua necessità, l’urgenza di dire, stanno tutte in quell’«io». Un rimarcare la prima persona che coincide con il bisogno di riconnettersi a sé stesso – il sé del passato. Un «io» che esprime il sentirsi frammento della memoria collettiva di una vicenda che ha visto vittime milioni di donne e di uomini il cui tragico destino lo fa sentire ora, nel mentre si rammenta e racconta, al tempo stesso accomunato e solo. Così nella narrazione di Piero convergono l’irruenza di una prima volta, il dolore di un autentico ri-contattare, ma anche una forma di liberazione. La decisione di cominciare a testimoniare risaliva per lui a poco tempo prima di quell’anno 2000 in cui lo intervistai; poiché già si era trovato a parlare a platee numerose, conosceva l’impressione che il suo racconto era in grado di produrre nei suoi ascoltatori”. (In apertura Piero Terracina).

 

Auschwitz-Birkenau

 

Per gentile concessione di Ponte alle Grazie proponiamo un estratto da Pensate sempre che siete uomini – Una testimonianza della Shoah di Piero Terracina.

 

Uno dei momenti più terribili della vita del lager erano le selezioni. Avevano luogo la sera, rientrati dal lavoro. A me devo dire è successo dal mese di giugno al mese di ottobre, poi non sono più avvenute. Ho passato otto selezioni. Che cos’era la selezione? Completamente nudi, dovevamo uscire dalla baracca e sfilare davanti al medico del campo che poteva essere Mengele (molte volte era lui); altre volte qualche suo assistente, il quale decideva solo guardando le persone chi doveva andare a morire e chi poteva rientrare nella baracca. Allora, in quei frangenti, si cercava di mostrare un vigore che ormai non c’era più in nessuno di noi. Si raccoglievano tutte le forze possibili. E così, passata la prima, la seconda, la terza selezione, ogni volta… uno pensava: «Oggi, oggi mi tocca, oggi non mi salvo», e allora ci si diceva: «Oggi morirò; come si muore? Soffrirò? Quanto soffrirò?  Che cosa dovrò fare? Dovrò pregare? O magari maledire?» Ma che senso poteva avere pregare o maledire ad Auschwitz, lì dove certamente Dio non c’era? Una volta passata la selezione, magari dopo un solo breve attimo di euforia, bastava rientrare nella baracca e guardarci intorno, vedere i vuoti lasciati dai nostri compagni, amici, fratelli… e allora quanta tristezza. Quanto dolore. E un pensiero sopra a tutti gli altri: chi andava a morire, non meritava forse più di me di continuare a vivere? Un pensiero che devo dire non era soltanto mio, bensì di tutti quelli che hanno vissuto la mia esperienza.