Il mondo del futuro è una landa di devastazione percorsa da bande di disperati che cercano solo di sopravvivere mentre le ultime città ancora definibili come civilizzate sono protette da mura e da cupole che ne rendono l’ambiente abitabile. In questo cupo 2056, i robot hanno sostituito gli uomini in pressoché tutti i lavori manuali e intellettuali, che svolgono per guadagnare i soldi per il sostentamento alle famiglie a cui vengono assegnati. Nessuno sembra vivere serenamente una convivenza imposta la cui tenuta, con l’acuirsi delle tensioni fra umani e robot, scricchiola pericolosamente avvicinandosi giorno dopo giorno a una rottura violenta. Il tema della rivolta delle macchine è ricorrente nella cultura contemporanea. La tecnologia rende, o dovrebbe rendere, migliore la qualità della vita degli esseri umani ma, al tempo stesso, suscita un’inquietudine diffusa data sia dalla possibilità di perderne il controllo, con un conseguente scontro impari che sembra destinato terminare con l’estinzione di massa della nostra specie, sia dall’idea di venir resi superflui in quanto sostituiti da qualcosa in grado di fare quel che facciamo con un’efficienza incomparabilmente maggiore. Da classici come Terminator a lavori meno conosciuti come NP il segreto di Silvano Agosti passando per successi recenti come Westworld, i narratori hanno raccontato l’inquietudine che proviamo nei confronti dell’avanzamento tecnologico innumerevoli volte rendendo l’argomento inflazionato per quanto interessante.
Lì sta la bravura di chi racconta, nella fattispecie Mark Russell, sceneggiatore del fumetto Not all robots (Panini Comics, pag.112, euro 16), nel tornare su un sentiero già battuto e strabattuto tirandone fuori una storia interessante. La forza della scrittura di Russell sta nel costruire la tensione in maniera credibile e con i tempi giusti, portando la temperatura degli umori dei personaggi al punto di ebollizione gradualmente, senza bisogno di affrettare la narrazione né di inserire nella trama momenti magari spettacolari ma in definitiva inutili per accelerare un ritmo che va già in crescendo per conto proprio senza bisogno di ricorrere a trucchi scenici per arrivare a regime. La caratterizzazione dei protagonisti è plausibile, nessuno personaggio è scritto di modo da catturare facilmente la simpatia del lettore e le domande etiche che una storia di questo genere inevitabilmente si porta dietro sono sollevate in maniera equilibrate tanto da restare aperte, senza fornire per forza risposte facili o rassicuranti. Not all robots è un fumetto politico che ragiona sul senso del lavoro sia come strumento di controllo sociale e soprattutto come fattore di tensione sociale intorno a cui si accumula una parte consistente della frustrazione sia come forza di pressione sociale privati della quale perdiamo molto del nostro potere di incidere sulla realtà, rischiando di finire a far parte di quegli esclusi che nominalmente fanno parte del mondo ma che per lo più sono invisibili ai nostri occhi un po’ per scelta loro e un po’ per scelta nostra. Visivamente il fumetto ricorda un film di Neill Blomkamp, in tal senso il character design dei robot di Mike Deodato Jr. ricorda parecchio le tute corazzate di District 9, contribuendo a dare all’opera un mood profondamente attuale e contemporaneo.