Nel futuro, una pandemia detta l’Afflizione falcidia l’umanità uccidendo un numero incalcolabile di persone. Poco dopo, una nuova specie fa la sua comparsa sul pianeta: gli ibridi, metà umani e metà animali. Sette anni più tardi, la società è collassata e gli ibridi vengono cacciati senza alcuna pietà. Gus, un bambino con i tratti somatici di un cervo, vive con il padre in un bosco lontano da tutti, nascosto e in relativa sicurezza. Solo e alle prese con un mondo che non conosce, Gus incontra Jepperd, un ex giocatore di hockey con un passato oscuro, un carattere schivo e pochi scrupoli. Il destino dei due, da questo momento in avanti, è legato per sempre. Ispiratore di un adattamento piuttosto libero nei toni, e più in generale non troppo riuscito, trasmesso da Netflix, Sweet Tooth è uno dei successi più grandi di Jeff Lemire. Il fumettista canadese è autore completo e capace, in grado di dar vita a classici contemporanei come Essex County, Il saldatore subacqueo e la maxisaga supereroistica Black Hammer con la stessa indiscutibile capacità con cui valorizza decine di personaggi delle major come Moon Knight (Marvel Comics) e Animal Man (DC Comics). Con Sweet Tooth (tre volumi pubblicati da Panini Comics), Lemire ha il controllo completo di un’opera di cui cura sia testi che disegni, dando vita a una distopia sì cupa e spaventosa, ma toccante e ricca di umanità. Perché Jeff Lemire è essenzialmente uno scrittore di personaggi, certamente uno dei migliori sulla scena contemporanea, se la gioca alla pari con Robert Kirkman pur mettendo in atto una poetica completamente differente.
Laddove l’autore di The Walking Dead e Invincible lavora sulla padronanza dei tempi e delle interazioni fra i protagonisti, Lemire punta sull’approfondimento della psiche dei personaggi, sul rendere il loro travaglio tanto credibile da non poter evitare di esserne toccati ed empatizzare, pur senza mai scadere nel melodramma a buon mercato. Detto ciò, la trama di Sweet Tooth è solida e ben scritta nel suo ordine piuttosto lineare, funziona senza buchi e ha un ritmo calibrato per la vicenda, non troppo veloce ma senza tempi morti, ma è evidente che la sua funzione è secondaria rispetto a personaggi complessi ed estremamente interessanti, di cui si vuol conoscere il destino già dopo averli incontrati da poche pagine. Un contributo fondamentale che rende peculiare e riconoscibile una distopia come Sweet Tooth in un periodo di sovrapproduzione costante nel genere è senza dubbio il tratto di Jeff Lemire, fatto che fa perdere moltissimo alla serie TV che, forse, sarebbe riuscita molto meglio come serie d’animazione e non come live action. Lemire ha questo suo segno nervoso, volutamente incerto ma proprio per questo profondamente espressivo nel comunicare gli stati interiori dei personaggi. I protagonisti di Sweet Tooth, così come di tanti altri fumetti disegnati dall’autore, dicono tantissimo di sé stessi con gli occhi. Lo sguardo spaesato di Gus, e di tutti gli ibridi come lui è quasi il simbolo di tutta una serie a fumetti, comunica la fondamentale fragilità di chi, in un mondo di cacciatori e di prede, si trova irrimediabilmente dalla parte di queste ultime. Allo stesso modo la faccia di cuoio di Jepperd ne trasmette tutta la sofferenza, tutto il dolore di un nervo scoperto protetto alla meno peggio da quella corazza di cinismo che per il personaggio è un po’ l’unica strategia per stare al mondo. Con delicatezza e senza compiacimento, Jeff Lemire racconta la regressione di una società che, per scelta o per necessità, regredisce a uno stato in cui riemergono le dinamiche più semplici e cruente, e di come a tale regressione esista un’alternativa.